Editoriali
L'autosabotaggio di Morra
Le sue intemperanze rendono ancora più sterile la commissione Antimafia
Nicola Morra, deputato eletto nelle liste dei 5 stelle ma ora dissidente, presiede la commissione parlamentare Antimafia, un compito che richiederebbe equilibrio e senso della misura, doti che non gli appartengono affatto. Ha la mania di intervenire, spesso a sproposito, su tutto. Lunedì ha commentato in modo ambiguo la notizia di una lettera inviata dal boss Giuseppe Graviano alla titolare della giustizia Marta Cartabia parlando di una “singolare coincidenza” che nessuno capisce quale sia.
Morra si era già esibito in un’irruzione indebita in un centro vaccinale, aveva ricevuto confidenze sulla delicata questione della cosiddetta loggia Ungheria, aveva insultato tutti gli elettori calabresi e la memoria di Jole Santelli, si era esibito in una serie di commenti colpevolisti sulla vicenda Eni, che poi si è rivelata infondata e condotta in modo criticabile dalla procura milanese. L’elenco delle intemperanze di Morra non è finito qui, ma l’interessato non si sogna nemmeno di rinunciare a un incarico per il quale evidentemente non è adatto.
L’esito concreto della sua testardaggine è la sostanziale paralisi della commissione, che è di fatto messa in mora per l’indisponibilità dei membri di quasi tutte le parti politiche a collaborare con lui. Chi pensa, non infondatamente, che la commissione Antimafia non serva a nulla, può paradossalmente essere soddisfatto dell’autosabotaggio involontario messo in atto dal suo presidente. Resta il fatto che si tratta di un’istituzione della Repubblica, in cui dovrebbe esprimersi la convergenza generale nel contrasto alla criminalità organizzata. Almeno questo valore dovrebbe essere salvaguardato, com’è stato in passato, da Luciano Violante a Rosy Bindi, esponenti politici con le loro idee, anche molto caratterizzate, che però non usavano la loro funzione istituzionale in modo strumentale. Una lezione che Morra non ha saputo o voluto seguire.