editoriali
Dalle parole ai fatti sulle carceri
Da Santa Maria Capua Vetere l’assunzione di responsabilità di Draghi e Cartabia
La visita di Mario Draghi e Marta Cartabia al carcere di Santa Maria Capua Vetere non è stata solo un pur rilevante atto simbolico di riparazione da parte dello stato per il modo inumano con cui sono stati trattati i detenuti. Draghi ha detto chiaramente che non c’è alcun successo da celebrare, anzi che il compito che deve assumersi il governo è quello di riportare le carceri ai princìpi costituzionali. La pena non deve mai essere contraria allo spirito di umanità, lo ha ripetuto Draghi, lo ha poi rimarcato la Guardasigilli.
Lo spirito della visita non era quello di un’ispezione, ma “la presa in carico” da parte di tutto il governo dell’inaccettabile situazione delle carceri. “Occorre aver visto”, come diceva Piero Calamandrei citato da Cartabia, per guardare in faccia la realtà carceraria.
La questione delle carceri è stata un elemento assai rilevante della storia nazionale: il Risorgimento divenne popolare in Europa grazie al diario di Silvio Pellico, “Le mie prigioni”, le lettere e i quaderni scritti in carcere da Antonio Gramsci rappresentano la più convincente condanna del totalitarismo (non solo fascista), persino l’Italia televisiva è stata scossa profondamente dell’incarcerazione ingiusta di Enzo Tortora. È da sempre una grande questione nazionale, trascurata e sottovalutata. Delle carceri in realtà si parla solo di fronte a fatti straordinari, con l’eccezione della battaglia permanente condotta quasi in solitudine da esponenti del Partito radicale.
Cartabia ha ricordato che il motto della polizia penitenziaria è “vigilare per redimere”, per poi indicare quali siano i vincoli strutturali, edilizi, normativi e occupazionali, che finiscono col vanificare l’impegno volto a onorare quel compito. Draghi nel suo breve intervento ha delineato i compiti che il governo deve assumersi, Cartabia è entrata nel merito delle varie questioni aperte e ha indicato soluzioni sia per il “qui e ora” sia per la prospettiva più ampia di una riforma carceraria e giudiziaria per il futuro (ma ha rivendicato lo spazio riservato alle pene alternative alla detenzione già presenti nel disegno di legge di riforma della giustizia penale presentato dal governo al Parlamento).
Passare dalle parole ai fatti non sarà semplice, ma è importante che Draghi, ricordando le responsabilità personali degli agenti che saranno giudicati, ha sottolineato anche la “responsabilità collettiva” di un paese, di uno stato che non ha saputo o voluto provvedere.
Sta proprio qui, nell’assunzione diretta della responsabilità di cambiare le cose il valore di questa visita e il suo profondo significato, non solo politico ma anche morale. Dire forte e chiaro in quel luogo che “non può esserci giustizia dove c’è abuso, non può esserci rieducazione dove c’è sopruso” apre una speranza che diventerà sempre più esigente. Draghi lo sa bene, è l’uomo che quando ha detto “faremo il possibile e basterà” ha convinto un mondo finanziario normalmente scettico. Se oggi dice che un sistema intollerabile sarà profondamente riformato e risanato ha il diritto di essere creduto. Intanto bisogna che la riforma della giustizia sia approvata, che piaccia o no a Giuseppe Conte, e che si indicano i concorsi per riempire i ruoli della guardia carceraria, che si dia più spazio ai garanti dei detenuti, che si risanino anche dal punto di vista edilizio e dei servizi le carceri esistenti e se necessario se ne costruiscano di nuove. Infine, ma non per ultimo, c’è da sperare che Draghi e Cartabia abbiano udito il grido dei detenuti che mentre li applaudivano reclamavano un indulto. Il giustizialismo nostrano ha sempre osteggiato le misure di clemenza che contraddicono la logica manettara. Tuttavia dopo un’epidemia devastante, dopo gli episodi di violenza che si sono visti, non solo nel carcere campano, quando si progetta un futuro meno angustiato da circostanze avverse, il momento della clemenza è venuto: sarebbe un segnale forte e un modo per affrontare i problemi carcerari senza l’assillo del sovraffollamento. Cartabia è ministra di Grazia e Giustizia, e l’una non sta senza l’altra.