la sentenza
Mimmo Lucano condannato a 13 anni
La sentenza del tribunale di Locri prevede il doppio della pena di quanto chiesto dall'accusa. I fatti riguardano l'accoglienza dei migranti a Riace, secondo la procura gestita come un "sistema criminale". L'ex sindaco: "Momento difficile, mi aspettavo un'assoluzione"
Tredici anni e due mesi di reclusione. Il tribunale di Locri ha condannato a tanto Mimmo Lucano, ex sindaco di Riace, il comune calabrese che ha fatto dell'accoglienza diffusa ai migranti la sua cartolina. La procura di Locri aveva chiesto una condanna a 7 anni e 11 mesi. I giudici hanno raddoppiato la pena.
Il processo "Xenia" riguarda la gestione dei progetti di accoglienza dei migranti in capo all'ex sindaco. L'accusa era di associazione a delinquere, truffa, concussione falsità ideologica e favoreggiamento dell'immigrazione clandestina.
"Ho speso la mia vita per gli ideali, contro le mafie, ho fatto il sindaco, mi sono schierato dalla parte degli ultimi, dei rifugiati che sono arrivati, mi sono immaginato di contribuire al riscatto della mia terra, è stata un'esperienza indimenticabile, fantastica, però oggi devo prendere atto che per me finisce tutto", ha dichiarato a Lucano subito dopo la notizia della condanna. "E' una cosa pesantissima - ha aggiunto -, non so se per i delitti di mafia ci sono queste sentenze così. E' un momento difficile, non so cosa farò. Mi aspettavo una formula ampia di assoluzione".
A difenderlo, l'avvocato e sindaco di Milano Giuliano Pisapia che, come riporta Repubblica, aveva definito Lucano “ontologicamente incapace” di agire per guadagno anche solo politico. Fedele “rappresentante dello stato e interprete della Costituzione quando lo stato era assente”.
Il pubblico ministero di Locri, Michele Permunian, nel chiedere la condanna aveva invece affermato che "a Riace comandava Lucano. Era lui il dominus assoluto, la vera finalità dei progetti di accoglienza a Riace era creare determinati sistemi clientelari. Lucano ha fatto tutto questo per un tornaconto politico-elettorale e lo si evince da diverse intercettazioni. Contava voti e persone. E chi non garantiva sostegno veniva allontanato".
D'altra parte, la tesi di un arricchimento economico è stata smentita anche dal Gip, che pur rilevando una "tutt'altro che trasparente gestione, da parte del Comune di Riace e dei vari enti attuatori", delle risorse erogate per l'esecuzione dei progetti di accoglienza (Sprar e Cas), aveva negato la contestazione di reati specifici, limitandosi a parlare di "estrema superficialita'", e "diffuso malcostume".
Pochi mesi fa, Adriano Sofri aveva ricordato su queste pagine l'iter del processo. "Ci sono stati, in una vicenda che tocca i cinque anni, i pronunciamenti clamorosamente contrastanti di diversi giudici, Riesame e Cassazione compresi. C’è stata l’accusa di aver sottratto fraudolentemente a fini privati fondi per milioni, indimostrata e a quanto pare abbandonata – arricchimento personale, niente. Poi l’accusa di aver violato le leggi e i regolamenti non per l’impellenza dell’aiuto ai bisogno si ma per una promozione elettorale".
Sofri aveva poi spiegato perché questa inchiesta sembra trasformarsi sempre più in un accanimento giudiziario nei confronti di Mimmo Lucano. "Se le trasgressioni ci sono state e sono venute dall’urgenza, dalla scelta di un fine superiore, magari anche da una leggerezza dettata dal fervore e dall’entusiasmo (Lucano ricorda quando autorità statali che non sapevano dove sbattere la testa gli mandavano migranti cui provvedere con tanto di ringraziamenti ed elogi), allora l’accusa dica pure di essere costretta a chiedere una sanzione simbolica, invochi tutte le attenuanti e le faccia prevalere, e lasci che un giudice trovi il modo migliore di liberare tutti da un fardello immeritato", ha scritto Sofri. E invece la condanna ha superato ogni aspettativa.