EDITORIALI
Niente voto sull'eutanasia. Bene così
La Consulta ha dichiarato inammissibile il referendum sul fine vita
La Corte costituzionale ha giudicato inammissibile il referendum che chiedeva di rendere legittimo l’assassinio del consenziente, perché in caso di approvazione “non sarebbe preservata la tutela minima costituzionalmente necessaria della vita umana, ingenerale, e con particolare riferimento alle persone deboli e vulnerabili”. Quando saranno rese note le motivazioni si comprenderanno meglio le motivazioni giuridiche specifiche, ma basta la succinta spiegazione fornita per dire che la decisione adottata è sacrosanta.
Se è giusto contrastare gli accanimenti terapeutici, fino a rendere possibile, attraverso la sedazione profonda una forma indiretta di eutanasia, se l’aiuto al suicidio in particolari circostanze può essere depenalizzato, l’assassinio – seppure del consenziente – resta un assassinio ed è inaccettabile. Peraltro sarebbe assai difficile stabilire se il consenso non sia la conseguenza di una preoccupazione per i disagi creati ai famigliari o di una condizione di depressione superabile. Al di là delle ragioni che hanno indotto i Radicali a chiedere questo referendum, non si devono trascurare tutti i dubbi ragionevoli che circondano il principio del “consenso” e soprattutto il primato della salvaguardia del principio dell’intangibilità della vita umana, principio sul quale dovrebbero concordare laici e credenti e che è alla base della concezione di persona contenuta nella Costituzione che la Corte ha l’incarico di tutelare. Ora il Parlamento può dare forza di legge alle sentenze precedenti della Corte sulla ridefinizione del reato di aiuto al suicidio nelle specifiche condizioni indicate nella sentenza precedente senza il rischio di aprire la strada all’eutanasia attiva che era richiesta dal referendum. La vita resta un valore indisponibile che non può essere messo ai voti: bene così.