editoriali
Ma i pm non pagano mai gli errori?
Genchi condannato, De Magistris, per cui Genchi lavorava, no. È il paradosso
La seconda sezione civile della Corte d’appello di Roma ha condannato Gioacchino Genchi, nella sua qualità di consulente tecnico di Luigi de Magistris, quando quest’ultimo era pubblico ministero a Catanzaro e titolare dell’indagine “Why Not”, a risarcire con 70 mila euro ciascuno (oltre alle spese legali) l’ex ministro della Giustizia Clemente Mastella, l’ex senatore Francesco Rutelli e l’ex deputato Sandro Gozi (oggi europarlamentare) per aver acquisito, elaborato e trattato illecitamente i tabulati telefonici relativi alle loro utenze telefoniche, senza chiedere l’autorizzazione del Parlamento. I tre erano stati indagati, e poi archiviati, nell’ambito dell’indagine avviata nel 2006 da De Magistris e che giunse a toccare persino l’allora premier Romano Prodi (poi archiviato anche lui).
Nel 2014, in sede penale sia Genchi sia De Magistris – nel frattempo catapultato in politica grazie alla notorietà dovuta all’inchiesta (finita con una marea di assoluzioni) – erano stati condannati in primo grado per abuso d’ufficio proprio per aver utilizzato i tabulati telefonici di diversi parlamentari senza autorizzazioni. I due erano poi stati assolti in Appello e la Cassazione aveva a sua volta riformato la decisione per un dubbio sull’elemento soggettivo del reato. Essendosi il reato prescritto, il procedimento era stato rimesso alla Corte d’appello di Roma ai soli fini civili, per la valutazione delle domande di risarcimento dei danni. In sede civile il colpo di scena: Genchi è stato condannato a pagare, De Magistris (per il quale Genchi svolse l’attività investigativa) no.
Come spiegato dai legali degli intercettati in maniera abusiva, in particolare gli avvocati Bruno Tassone e Gianfranco Passalacqua, la richiesta di risarcimento nei confronti dell’ex pm è infatti stata dichiarata inammissibile in base a “una applicazione assai restrittiva della normativa sulla responsabilità civile dei magistrati”. Il verdetto è paradossale e i legali valutano un ricorso. La domanda, intanto, sorge spontanea: ma i magistrati non pagano mai i propri errori?