editoriali
Ombre sul rito ambrosiano
Finisce a Brescia uno stralcio dell'inchiesta sul cosiddetto "falso complotto Eni". Per il gup di Milano, Fabio De Pasquale è parte lesa. Per i pm milanesi non lo era. Tutto normale?
Nuove ombre si addensano attorno al processo flop del secolo, quello relativo alla presunta corruzione internazionale compiuta da Eni in Nigeria (conclusosi con l’assoluzione di tutti gli imputati), e alla guerra intestina poi emersa nella procura di Milano, che con ostinazione aveva cercato di far condannare i vertici del Cane a sei zampe. Il giudice per l’udienza preliminare di Milano, Carlo Ottone De Marchi, si è dichiarato incompetente e ha trasmesso gli atti al tribunale di Brescia al termine dell’udienza preliminare a carico di Piero Amara e Vincenzo Armanna, rispettivamente ex legale esterno ed ex manager di Eni (oltre che grande accusatore della compagnia petrolifera nel processo per corruzione internazionale).
Entrambi sono accusati con altre persone di calunnia nei confronti dell’allora avvocato dello stesso Armanna, il legale Luca Santa Maria, in una tranche dell’inchiesta della procura di Milano sul cosiddetto “falso complotto Eni”. I due, secondo le indagini, accusarono Santa Maria di aver fatto in modo che l’ex manager, da lui assistito, incolpasse i vertici Eni. Inoltre, volevano creare “le condizioni per un procedimento disciplinare” nei confronti del procuratore aggiunto di Milano Fabio De Pasquale, titolare dell’inchiesta Eni-Nigeria insieme al collega Sergio Spadaro.
Nonostante ciò, la procura milanese non aveva indicato De Pasquale come parte offesa. Al contrario, il gup ha ora ritenuto che anche De Pasquale sia da ritenere parte offesa del presunto piano di calunnie operato dagli indagati. Di conseguenza, ha inviato gli atti ai pm bresciani, competenti sui reati ai danni delle toghe milanesi.
Sfugge alla logica il motivo per il quale i pm milanesi avessero escluso De Pasquale tra le parti offese. La sensazione, si spera infondata, è che le toghe milanesi abbiano voluto evitare che altre procure potessero mettere il naso nel processo contro Eni, tanto caro alla procura di Milano e condotto, si è visto poi, con metodi a dir poco discutibili.