Editoriali
Il Pd che dice “no” sulla giustizia
Un conto sono i dubbi sui referendum, un conto è accodarsi al Movimento 5 Stelle
"Quieta non movere” è una tattica ribassista per togliere visibilità ai referendum che ha sempre funzionato, meglio degli sconsiderati inviti ad andare al mare. Il prossimo 12 giugno si voterà per i cinque quesiti sulla giustizia promossi dalla Lega e dai Radicali – misure cautelari, separazione delle funzioni dei magistrati, elezione del Csm, consigli giudiziari, incandidabilità dei politici (legge Severino) – e la strategia del silenziatore, questa volta, risulta utile persino a chi li ha promossi senza troppa convinzione, come la Lega che sconta le perplessità in materia di garantismo del suo elettorato. Così la macchina dell’informazione, comprese le “tribune” televisive, sta partendo in sordina, mentre per i giornali continua a fare più notizia lo sciopero dell’Anm contro la riforma Cartabia.
In questo silenzio per nulla surreale spicca però la posizione del Partito democratico, che già nei mesi scorsi aveva ufficializzato la sua posizione critica, fatta di tre “nì” (meglio attendere le riforme in corso d’opera in Parlamento) e una “netta contrarietà su custodia cautelare e legge Severino”, dunque due no squillanti proprio sui due referendum in cui il tema garantista è più evidente. Il Pd ha prenotato gli spazi d’intervento all’AgCom, e manderà i propri esponenti in tv: a sostenere le ragioni del no. Assieme al Movimento cinque stelle, grande oppositore di tutte le riforme in tema di giustizia. Scelta criticabile, anche pensando che nel campo del partito di Enrico Letta esiste una pattuglia scelta che ha invece sempre sostenuto i referendum come strumento utile a sbloccare il sistema inceppato della giustizia, da Stefano Ceccanti a Goffredo Bettini a Giorgio Gori, che hanno auspicato un diverso impegno del Pd. Allinearsi alle posizioni dei Cinque stelle, magari anche per una convenienza politica assai dubbia, e allinearsi alle posizioni più conservatrici della magistratura, per il riflesso condizionato di un antico retaggio culturale, non pare una strategia adatta a un partito che si candida a guidare un cambiamento del paese.