editoriali
L'eternità della giustizia deve essere riformata. Il caso Fonsai
Tutti assolti nel processo di primo grado (durato sei anni) per il fallimento Imco, di proprietà della famiglia Ligresti
Sei anni di processo per arrivare a una sentenza di assoluzione in primo grado di tutti gli imputati, per fatti che risalgono a dodici anni fa. E’ la sintesi dell’ennesima inchiesta giudiziaria portata avanti dalla procura di Milano finita in un nulla di fatto, quella sul fallimento di Imco, una delle holding della famiglia Ligresti, ai tempi soci di Fonsai, assieme alla controllante Sinergia. La Seconda sezione del tribunale di Milano, presieduta da Nicola Clivio, ha infatti assolto – con la formula più ampia “perché il fatto non sussiste” – tutti e dodici gli imputati accusati di concorso in bancarotta, tra cui Piergiorgio Peluso, figlio dell’ex ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri (all’epoca amministratore delegato di Unicredit Corporate Banking), e gli amministratori delle due immobiliari, Salvatore Rubino e Fausto Nunzi.
Il pm Grazia Colacicco, che ha ereditato il procedimento da Luigi Orsi (oggi sostituto pg in Cassazione), al termine della sua requisitoria aveva chiesto una condanna a 5 anni di reclusione per Rubino, 4 anni e mezzo per Nunzi e 3 anni e mezzo per Peluso, ritenendoli responsabili di aver dissipato “il patrimonio di Imco con una operazione, preparata nei mesi antecedenti e perfezionata il 5 agosto 2010”, che aveva lo scopo di salvare Sinergia ma che invece avrebbe favorito Unicredit. Per tutti gli altri la richiesta era stata l’assoluzione. Secondo l’accusa iniziale gli imputati erano stati artefici di un’operazione di ristrutturazione del debito di Sinergia che si rivelò disastrosa per la controllata Imco, che sarebbe stata gravata dei 108,5 milioni di euro di debiti della controllante e depauperata della preziosa area destinata al polo scientifico Cerba. Dopo la lettura del dispositivo Peluso, visibilmente commosso, non ha voluto dire nulla, se non ricordare che sono trascorsi dodici anni dall’inizio della vicenda. Un’eternità, che dovrebbe indurre tutti (inclusi i magistrati che pochi giorni fa hanno scioperato) a riflettere sull’urgenza di riformare il sistema giustizia.