editoriale
L'insolito destino dei super poliziotti antimafia, finiti alla sbarra e poi assolti
Un destino infausto, sicuramente ingrato, sembra attendere i funzionari dello stato che hanno contribuito alla cattura dei più pericolosi boss mafiosi. Dopo Mori, De Donno e Pisani, indagato (e assolto) anche Renato Cortese, l'uomo che catturò Provenzano
Un destino infausto, sicuramente ingrato, sembra attendere in questo paese i super poliziotti che nel corso della storia hanno contribuito alla cattura dei più pericolosi boss mafiosi. Giovedì la corte d’appello di Perugia ha assolto con formula piena gli imputati accusati di sequestro di persona per le presunte irregolarità legate al rimpatrio di Alma Shalabayeva, la moglie del dissidente kazako Mukhtar Ablyazov, espulsa verso il Kazakhstan nel 2013 insieme alla figlia Alua e poi entrambe tornate in Italia. Ribaltando le sentenze di condanna di primo grado, i giudici hanno restituito l’onore agli imputati, tra cui Renato Cortese, ex questore di Palermo ed ex capo della Squadra mobile di Roma, il super poliziotto che nel corso della carriera ha catturato il boss di Cosa nostra, Bernardo Provenzano, dopo oltre 40 anni di latitanza, e anche altri mafiosi legati alla ‘ndrangheta e alla camorra.
Cortese è solo l’ultimo eroe delle istituzioni a finire alla sbarra (e a essere assolto) dopo aver servito lo stato per una vita intera. Lo stesso destino è toccato agli ex vertici del Ros dei Carabinieri, il generale Mario Mori (poi anche direttore del Sisde) e il colonnello Giuseppe De Donno, colleghi di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, autori dell’operazione che il 15 gennaio 1993 portò alla cattura del “capo dei capi”, Totò Riina, dopo 24 anni di latitanza. Anziché ricevere un “grazie” sono da anni vittime di una gogna mediatico-giudiziaria sfociata nel processo sulla fantomatica trattativa stato-mafia (entrambi sono stati assolti in appello).
C’è, infine, da ricordare la vicenda di Vittorio Pisani, ex capo della Squadra mobile di Napoli, tra i registi della cattura del boss del clan dei casalesi Michele Zagaria, latitante da 15 anni. Venne accusato di rivelazione di notizie riservate, abuso d’ufficio e favoreggiamento, per poi essere assolto con formula piena. La sequenza dei casi è singolare, e la dice lunga sulla riconoscenza mostrata dallo stato ai suoi fedeli servitori.