Foto di Giuseppe Lami, via Ansa 

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Piantedosi: "Nessuno ha mai voluto limitare le intercettazioni nei reati di mafia"

Redazione

Per il ministro dell'Interno l'ergastolo ostativo non si tocca in quanto "una scelta giusta e chiara contro la mafia". Sull'arresto di Matteo Messina Denaro: "È avvenuto grazie a un lavoro lungo, con metodi d'indagini tradizionali e caparbi. Il resto è fantasia"

"Le intercettazioni per i reati di mafia rappresentano uno strumento fondamentale e nessuno le ha mai messe in discussione". Così, il ministro dell'Interno Matteo Piantedosi commenta alla Stampa le parole del capo della procura di Palermo, Maurizio De Lucia, che ha sostenuto l'importanza delle intercettazioni nell'arresto del boss mafioso Matteo Messina Denaro. "Nessuno ha nemmeno mai espresso l'intenzione di limitarle" ha continuato Piantedosi; e ancora, ha ribadito in un'intervista al Corriere della Sera: "Se talvolta sono state fatte critiche, hanno riguardato l’uso distorto che se ne è fatto e non certo il loro utilizzo nelle inchieste di mafia". 

  

Infatti, come ha affermato: "La lotta alla criminalità è al primo punto dell'agenda del governo Meloni". In primis tramite la misura dell'ostatività. Il ministro lo ripete, e sulle parole di ieri di Giorgia Meloni, che ha chiarito che l'ergastolo ostativo non si tocca, dichiara: "Una scelta giusta e chiara contro la mafia". Anche, in merito, la critica è sempre la stessa: la Costituzione prevede la funzione riabilitativa della pena. "Lo stato ha ingaggiato una guerra contro la mafia e non può concedere vantaggi al nemico. Alla luce di questo vanno effettuate anche le valutazioni di ordine costituzionale", dice alla Stampa Matteo Piantedosi. 

 

E se è vero che il momento della cattura dopo trent'anni del superlatitante è stato un segnale di rafforzamento per il nuovo governo, è anche vero che ha attirato a sé diversi dubbi. Tra la curiosità in merito a come si è svolto l'arresto e la speranza che Messina Denaro possa e voglia parlare per far luce sui punti oscuri della stagione delle stragi del paese, si sono fatti spazio teoremi più o meno abbozzati e complottistici. Questi ultimi hanno portato il ministro a sottolineare che ogni teoria "si deve sempre basare su fatti concreti e verificati. In giro ci sono dei professionisti del retroscena che inquinano il dibattito con tesi spesso strampalate e ricostruzioni forzate, prive di riscontri". Così, sul fatto che Messina Denaro latitava dal 1993, vivendo a Palermo e facendosi curare sotto falsa identità nella clinica Maddalena, il ministro afferma: "Si è trattato di un lavoro investigativo lungo e paziente da parte della magistratura e delle forze di polizia per assicurare alla giustizia un boss che probabilmente ha potuto godere di un'articolata rete di protezione". Mentre in merito a una presunta trattativa prima che il capomafia fosse preso, Piantedosi dice: "L'arresto è avvenuto grazie a un lavoro lungo, con metodi d'indagini tradizionali e caparbi. Il resto è fantasia".

 

E nonostante questo momento di vittoria dello stato resta tanto lavoro da fare in merito al tessuto di complicità che lega Cosa nostra e la società civile della buona borghesia, nonché quello che unisce clan e politica. Su entrambi l'impegno "di magistrati e forze di polizia è molto puntuale e porta a risultati continui", dichiara Piantedosi. 

 

Mentre sulle sue stesse parole, risalenti a tre giorni prima dell'arresto di Messina Denaro, in cui si augurava di essere il ministro in carica nel momento in cui il boss sarebbe stato preso, Piantedosi non approfondisce, e sembra voler precisare, sia nell'intervista alla Stampa che in quella al Corriere, la sua estraneità all'operazione degli agenti: "Ho saputo dell'arresto nel momento in cui è avvenuto".