editoriali
Lo strano spillover tra pena di morte e 41-bis nel rapporto di Nessuno tocchi Caino
L'associazione impegnata contro le condizioni estreme di carcerazione sostiene un parallelo ardito tra il Kenya e l'Italia. Ma così facendo sminuisce il tema di una giusta prevenzione (e l'applicazione dello stato di diritto)
Onore e merito a Nessuno tocchi Caino, associazione impegnata contro la pena di morte e le condizioni estreme di carcerazione. Ci permetterà però il segretario Sergio D’Elia di mettere qualche punto di domanda al suo intervento di ieri sul Riformista. Si parla di una ricerca tra i condannati a morte in Kenya svolta da un’équipe dell’Università di Oxford, e il titolo recita: “Lo studio è sul Kenya ma sembra l’Italia”. La tesi portante, dello studio e di D’Elia, è che “la terribilità e la certezza della pena non possono costituire un deterrente, se neanche i condannati sanno cosa prevede il codice penale”. Hanno intervistato 671 persone, di cui 33 donne, nel braccio della morte in dodici carceri. Il 44 per cento era condannato per omicidio, il 56 per rapina violenta. “Solo un detenuto su cento sapeva che la pena di morte era una punizione prevedibile per il reato commesso”. I limiti della deterrenza sono noti, ma appare un salto logico forzato sostenere – è lo studio di Oxford – che poiché quasi tutti i detenuti “avevano poca o nessuna istruzione di base ed erano di basso status sociale ed economico”, questo sia sufficiente a negare ogni valore all’entità della pena.
Scrive D’Elia: “Lo studio è stato condotto in Kenya. Fosse stato fatto in Italia, i numeri non sarebbero stati diversi”. Si può dubitarne, almeno per quel che concerne l’ignoranza della legge. Ma l’aspetto che suscita più dubbi è altrove: “La ricerca ha riguardato la pena di morte. Fosse stata la pena fino alla morte, il risultato non sarebbe cambiato… Dove è scritto ‘pena di morte’ leggi pure ‘pena fino alla morte’. Dove è scritto ‘braccio della morte’ pensa al 41-bis”. Se il parallelo con l’ergastolo ostativo ha un senso, braccio della morte e 41-bis non sono invece la stessa cosa. Il 41-bis va modificato o sostituito; ma non è una misura “a vita” né “a morte”. Le battaglie radicali sono giuste. Meno comprensibile è lo spillover per cui, dalla critica della pena “di morte”, si passa a sminuire il tema di una giusta prevenzione. Lo stato di diritto deve svolgere bene il suo compito, Kenya o Italia, non rinunciarvi.