Editoriali
L'onore di Presta archiviato (con Renzi)
L’inchiesta su un presunto “finanziamento illecito” per cui sono stati indagati l'ex premier e il noto agente dei vip è finita nel nulla. Ci sarebbe da sorridere se non fosse che in ballo, oltre a ruoli politici, c’è la sofferenza inutile inflitta a innocenti
Partirono per suonare e furono suonati. Verrebbe voglia di applicare l’antico detto alle sempre più numerose indagini costruite sul nulla, guidate dai volenterosi tamburelli della stampa giustizialista e che finiscono regolarmente in nulla. Ci sarebbe da sorridere, se non fosse che in ballo, oltre spesso ruoli politici, c’è per prima cosa la sofferenza inutile inflitta a persone innocenti. Nel luglio di due anni fa il giornale capo dei tamburelli rullava come sul campo di battaglia: “Nuovi guai per Matteo Renzi. L’ex premier è indagato a Roma per finanziamento illecito. I magistrati stanno analizzando i rapporti economici con Lucio Presta, il noto agente dei vip, che è indagato anche per false fatturazioni”. Ieri, con la coda tra le gambe, ecco invece il “com’è andata a finire”: “Si chiude con un’archiviazione l’indagine che vedeva indagati Matteo Renzi e l’agente Lucio Presta”.
Ci sono però voluti due anni per arrivare a riconoscere che fosse solo fuffa, quell’accusa nata da “un’inchiesta giornalistica” (popcorn) secondo cui il pagamento di 450 mila euro ricevuto da Renzi per il documentario “Firenze secondo me” non era un pagamento, ma un “finanziamento illecito” a Italia viva. Ieri l’archiviazione è stata registrata con un certo imbarazzo dalla stampa che aveva cavalcato l’inchiesta. Mentre a fare notizia dell’archiviazione è stato il manager televisivo in persona, su Twitter: “Desidero ringraziare la procura di Roma che ha svolto le indagini che mi vedevano indagato con il senatore Matteo Renzi, conclusesi con l’archiviazione”, ha scritto. E poi: “Li ringrazio per aver avuto la professionalità e l’equilibrio che hanno garantito di salvaguardare la mia rispettabilità, la mia professionalità, la vita mia e quella di mio figlio Niccolò”. Perché poi la accuse vanno, ma le persone restano.
L'editoriale del direttore