Editoriali
Bocciata alla Camera la direttiva europea (evitabile) sulla lotta alla corruzione
Sull'onda del Qatargate, Parlamento e Consiglio dell'Unione europea hanno proposto un provvedimento che va ben oltre gli obiettivi prefissati
Con 187 voti a favore, 100 contrari e tre astenuti, l’Aula della Camera ha confermato il parere motivato con cui la commissione Politiche europee ha bocciato, lo scorso 19 luglio, la direttiva del Parlamento e del Consiglio dell’Unione europea sulla lotta alla corruzione. La ragione è che la direttiva “risulterebbe palesemente in contrasto con il principio di sussidiarietà e con quello di proporzionalità”. Insieme ai partiti di centrodestra ha votato a favore del “no” anche Azione. La direttiva aggiorna il quadro giuridico europeo in materia di lotta contro la corruzione, vincolando gli stati membri all’adozione di norme di armonizzazione minima delle fattispecie di reato riconducibili alla corruzione e delle relative sanzioni, nonché di misure per la prevenzione del fenomeno corruttivo e di strumenti per rafforzare la cooperazione nelle relative attività di contrasto. Purtroppo, i contenuti della direttiva in diversi casi sembrano andare ben oltre gli obiettivi prefissati. Per comprenderlo è sufficiente leggere la definizione che si vorrebbe introdurre di “abuso d’ufficio”, che, per Parlamento e Consiglio Ue, dovrebbe estendersi persino all’ambito privato: “L’esecuzione o l’omissione di un atto, in violazione di un dovere, da parte di una persona che svolge a qualsiasi titolo funzioni direttive o lavorative per un’entità del settore privato nell’ambito di attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o commerciali al fine di ottenere un indebito vantaggio per sé o per un terzo”. La direttiva poi, oltre a prevedere pene minime per ciascun reato, stabilisce anche i termini di prescrizione, che non possono essere inferiori a otto, dieci e quindici anni a seconda delle fattispecie. Nelle sanzioni accessorie ci si spinge a prevedere anche la privazione del diritto di eleggibilità. Insomma, la direttiva risente dello scenario in cui è nata (lo scandalo del Qatargate) finendo per diventare uno strumento populistico nella lotta alla corruzione, facendo debordare le istituzioni dai propri ambiti di competenza.