Editoriali
L'invasione degli ultra-magistrati
La separazione dei poteri vale anche per loro, ma c’è chi non lo dice
Le polemiche attorno alla sentenza di Catania e ai commenti di parte governativa ancora non si placano. Passando i giorni, si passa però al territorio delle elucubrazioni capziose e della bolsa retorica degli allarmi democratici. Sulla Stampa di ieri Donatella Stasio, giornalista di lunga esperienza giudiziaria, lancia l’allarme sull’“aria di tempesta” che tira “sui diritti fondamentali, non solo dei migranti”. Scrive: “La politica securitaria della destra di governo minaccia di farli affondare in nome della sicurezza nazionale e scomunica chi, ‘per mestiere’ ha invece il dovere di ‘garantirne la tutela’”. E intona un fervorino inteso a dare la sveglia a chi voglia (i giudici) difendere la democrazia.
Ovviamente ognuno è libero di pensarla come vuole, anche se non risulta ci siano squadracce per le strade e oppositori al confino. Anche affermare che i provvedimenti in tema di immigrazione siano “leggi borderline rispetto ai princìpi dello stato di diritto” è lecito, ma non è per forza vero. Ma fin qui si è nell’ambito delle opinioni. Quando però si dice che Meloni avrebbe “perso un’occasione d’oro per dimostrare che la sua destra di governo vuole stare nel perimetro delle democrazie costituzionali”, si sconfina nelle ipotesi non fattuali. Stasio sentenzia che “i fatti raccontano di un grave deragliamento delle dinamiche istituzionali”. Stiamo ai fatti: la sentenza di Catania è stata eseguita, la magistrata è al suo posto e quello di Meloni è rimasto un commento. Va peggio quando si evoca il “ventennio berlusconiano”, che pure Stasio dovrebbe ricordare.
Mai come in quegli anni (e nei precedenti) fu l’esondazione della magistratura dai suoi limiti costituzionali, il suo sconfinamento nella politica, il vero vulnus. “In uno stato di diritto, la separazione dei poteri, l’autonomia e l’indipendenza dei giudici sono princìpi cardine”, leggiamo. Si dimentica, capziosamente, di dire che la separazione vale anche per i magistrati. Quando fanno discendere le sentenze dalle proprie private idee politiche, esondano dall’argine del proprio potere e minacciano la democrazia.