editoriali
Relativismo penale? No, innocente. Il bengalese processato a Brescia e la bagarre populista bipartisan
Il cittadino del Bangladesh accusato dalla moglie di maltrattamenti e vessazioni è stato assolto. Eppure un mese fa giornali e politici avevano contestato in lungo e in largo la valutazione del magistrato che aveva fatto osservazioni sulla "cultura del paese d'origine" dell'imputato. Quante parole buttate al vento
I lettori ricorderanno lo strano caso, molto gonfiato dai media e dalla politica che va sempre a ruota, del sostituto procuratore di Brescia, Antonio Bassolino, che aveva formulato una richiesta di proscioglimento per un cittadino del Bangladesh accusato dalla moglie di maltrattamenti e vessazioni, fino alla violenza sessuale. Nella sua valutazione, il magistrato aveva voluto contestualizzare i fatti (piuttosto malamente, va detto) inserendo alcune righe a forte rischio interpretativo: “I contegni di compressione delle libertà morali e materiali della parte offesa da parte dell’imputato”, scrisse, sono anche “un portato della sua cultura che la medesima parte offesa aveva persino accettato in origine”. Si scatenò la bagarre contro il magistrato, accusato di relativismo culturale anche da quanti, di solito, vi si appellano quando serve a negare i problemi legati all’integrazione. Il procuratore capo di Brescia, Francesco Prete, corse subito ai ripari scaricando Bassolino, “la procura si dissocia e ripudia qualunque forma di relativismo giuridico”; per Mara Carfagna aveva “umiliato e calpestato la Costituzione e le leggi italiane”; da Gasparri a Pina Picierno in tanti si mossero per chiedere al Csm di mandare gli ispettori. Il ministro Nordio parlò di “posizione assolutamente inaccettabile”.
Il Foglio fu tra i pochi a leggere il testo di Bassolino e a notare, controcorrente, che il senso della richiesta di assoluzione stava – correttamente – altrove: non nel presunto relativismo a tutela del tribalismo e della violenza sulle donne, ma nella debolezza delle accuse. (Lo aveva notato però l’Anm: “Mancanza di prova del fatto tipico”). Bene, martedì il tribunale di Brescia ha assolto il bengalese semplicemente “perché il fatto non sussiste”. E se non sussiste il fatto, a maggior ragione non avrebbero dovuto sussistere le esternazioni su un inesistente, in questo caso, “relativismo penale” o addirittura su una adombrata “legislazione separata”. Parole al vento, utili solo ad alzare il tasso insopportabile del populismo penale.