dopo la sentenza su renzi e lotti
Trattativa, Consip, Eni: molte prime pagine ma pochi risultati
Le assoluzioni di Tiziano Renzi e Luca Lotti, ma non solo. Usare teoremi al posto delle prove funziona per alimentare processi mediatici, non nelle aule dei tribunali
Con due condanne e otto assoluzioni, tra cui quella di Tiziano Renzi, padre dell'ex premier, e l'ex ministro Luca Lotti, è crollato definitivamente, a distanza di ben otto anni dalle indagini, uno dei filoni più importanti del processo Consip, quello riguardante i presunti traffici di influenze illecite e le rivelazioni di segreto. Un’inchiesta che conquistò le prime pagine dei giornali, in primis del Fatto quotidiano che per primo diede la notizia (oggi si scopre in modo illecito, vista la condanna del carabiniere Gianpaolo Scafarto, che fornì la notizia a Marco Lillo). Ma non basta l’attenzione mediatica a reggere un’inchiesta, se questa si basa su teoremi e non su prove.
Così, il flop del processo Consip ricorda quelli di tanti altri processi mediatici. Basti pensare al processo sulla cosiddetta Trattativa stato-mafia, finito con l’assoluzione di tutti gli imputati (gli ufficiali del Ros Mario Mori, Antonio Subranni, Giuseppe De Donno e l’ex senatore Marcello Dell’Utri) dopo anni di campagna stampa tambureggiante, oppure al processo Eni-Nigeria, finito con l’assoluzione di tutti e 15 gli imputati (fra cui Claudio Descalzi e Paolo Scaroni), basato su una presunta tangente da un miliardo di dollari di cui non è mai stata trovata traccia.
I pm di questi processi sono stati trasformati in eroi, molti di loro hanno fatto carriera. Ma, come dimostrano le sentenze, almeno in sede giudiziaria continuano a contare le prove.