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Editoriali

Greenpeace e ReCommon ricorrono contro se stessi nella causa contro Eni

Redazione

Temendo la sconfitta, gli ambientalisti lanciano la palla in tribuna. Una dimostrazione del fatto che lo scopo non è portare Eni di fronte al giudice, ma usare il giudice come cassa di risonanza delle proprie campagne

Contrordine compagni: la causa del secolo può aspettare. Greenpeace e ReCommon, che avevano denunciato l’Eni per le responsabilità nel riscaldamento globale, adesso chiedono tempo e interrogano la Cassazione per un “regolamento di giurisdizione”. Le due associazioni, nel 2023, hanno depositato un atto di citazione contro Eni, attribuendole la responsabilità di tutte le emissioni generate direttamente e di quelle prodotte dai clienti che hanno utilizzato la benzina o il gas venduto da Eni. Quindi, hanno chiesto al giudice di ordinare a Eni di accelerare la  strategia di decarbonizzazione e, in sostanza, di smetterla di estrarre petrolio e gas. Lette le carte, il giudice ha fissato per settembre l’udienza per la decisione su questioni pregiudiziali e processuali legate all’ammissibilità della domanda, ritenendo  di non doverne analizzare il merito.

Ora, colpo di scena: Greenpeace e ReCommon tirano in ballo la Cassazione per chiarire se il tribunale di Roma, investito della causa, ha realmente la giurisdizione. Il paradosso è che questo è uno degli argomenti usati dagli avvocati di Eni, secondo i quali – poiché Eni non è accusata di aver violato alcuna legge – non si può pretendere che un giudice le imponga scelte che, al limite, spettano al legislatore. Cioè: se i target ambientali sono insufficienti sta alla politica dirlo, stabilendone di nuovi e validi per tutti, non alla magistratura caso per caso. Ora Greenpeace e ReCommon fanno propria questa domanda – in un certo senso agendo contro sé stessi, visto che è stata loro l’iniziativa di agire  in quella sede – e la girano alla Cassazione. La sensazione è che, temendo la sconfitta, gli ambientalisti abbiano lanciato la palla in tribuna. Il che chiarisce il reale intento della causa: non portare Eni di fronte al giudice, ma usare il giudice come cassa di risonanza delle proprie campagne. Se gli andrà bene, la corte confermerà che la causa deve entrare nel merito. Se andrà male, avranno  guadagnato un paio d’anni nell’attesa di questa ulteriore pronuncia. Come ha commentato un profondo conoscitore di questi temi: la causa sospesa non sospende il crowdfunding. La causa persa invece sì.

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