Festa dell'ottimismo

D'Avino: “La separazione delle carriere non deve essere un tabù per i magistrati”

“Nel momento in cui si esagera con la diffusione di intercettazioni, diventa quasi necessario che vengano messi degli argini”. Parla il procuratore capo di Parma

Redazione

“I procuratori possono rispettare la presunzione di innocenza. Il segreto è fare chiarezza al proprio interno”. Sono le parole di Alfonso D'Avino, procuratore capo di Parma, intervistato da Ermes Antonucci alla Festa del Foglio di Firenze. “In primo luogo la comunicazione verso l’esterno la dà solo il procuratore, poi bisogna essere chiari nei confronti delle forze di polizia quando si dice che la notizia non deve uscire”. 

L'obiettivo del pubblico ministero, continua D'Avino, deve essere “la ricerca della verità, il buon esito delle indagini. Si tratta di rispettarsi reciprocamente, accusa e difesa”. In questo contesto, i comunicati stampa “devono essere motivati, perché si ritiene ci sia un interesse pubblico alla diffusione di certe notizie. Io lo correggo sempre usando sempre il condizionale. Poi mi rendo conto che quando dal comunicato stampa si passa alla notizia di stampa tutto viene semplificato, e il presunto rapinatore diventa rapinatore”.

La riforma delle intercettazioni, che prevede durata massima di 45 giorni delle intercettazioni, esclusa mafia e terrorismo, viene letta spesso come una limitazione della possibilità di indagare dei magistrati. “Non sarei cosi pessimista” commenta il pm, “l’intercettazione è un ottimo strumento per svelare la commissione di reati. Il problema si pone quando sui giornali si leggono cose che non si dovrebbero leggere”.  Secondo D'Avino, infatti, “nel momento in cui si esagera in questa diffusione, diventa quasi necessario che vengano messi degli argini”.

Sulla questione della sicurezza informatica, “le notizie non rendono tranquillo chi spende il proprio tempo per fronteggiare la commissione dei reati. Sono le conseguenze quasi inevitabili del progresso. Con la modernizzazione c'è il rischio di questi avvenimenti che vanificano il nostro lavoro, che è tendenzialmente segreto”. C'è un problema di cultura digitale e conoscenza informatica all'interno della giustizia italiana: “L'informatica ha fatto passi da gigante e il ministero cerca di inseguire i progressi tecnologici, ma è un po' difficile. Ci sono obiettivamente dei ritardi nella formazione, ma siamo tutti favorevoli al progresso della tecnologia, perché in prospettiva il lavoro diventa più semplice rispetto a chi, come me, è abituato a lavorare sulle carte”.

Fra le questioni più dibattute rientra anche la separazione delle carriere: “Non deve essere un tabù per il magistrato, anche perché da qualche anno si vedono pochi passaggi dall'uno all'altro: chi fa il giudice fa il giudice, chi fa il pm continua a fare il pm”, commenta il procuratore capo di Parma, “non deve esserci pregiudizio ideologico né a favore né contro questa ipotesi”.  Tuttavia, prosegue, “quello che sottolineo è che la separazione delle carriere, a cui non sono pregiudizialmente ostile, non sia la soluzione ai mali della giustizia”. I problemi, per il magistrato, sono ben altri: “Abbiamo una carenza assoluta di personale amministrativo. Sotto questo profilo abbiamo dei vuoti spaventosi”

Si ha spesso la sensazione che magistratura sia onnipresente nel dibattito pubblico, non crede sia un po' istituzionalmente inopportuno questo protagonismo eccessivo? “Sì. Direi che il magistrato è una delle professioni più belle in assoluto, sia nel penale che nel civile, ma è anche fra le più delicate ed esposte” spiega D'Avino, secondo cui “sarebbe opportuno una maggiore riservatezza nella esposizione pubblica: se da un lato il magistrato è un cittadino come altri, dall'altro il peso delle sue dichiarazioni rischia di essere maggiore rispetto a quelle degli altri”.

“Quando entra a piedi uniti nel dibattito politico”, chiosa D'Avino, “il pm esonda dal suo ruolo di organo terzo”.