(foto Ansa)

editoriali

L'esempio di Gino Cecchettin dopo l'ergastolo per Turetta

Redazione

Il padre di Giulia Cecchettin dopo la sentenza che ha condannato Filippo Turetta all'ergastolo mostra equilibrio e sobrietà. L’opposto dei toni forcaioli di Salvini e Co.

"Abbiamo perso tutti come società. Nessuno mi darà dietro Giulia, quindi non sono sollevato né più triste rispetto a ieri. E’ stata fatta giustizia, la rispetto, ma credo che la violenza di genere non si combatte con le pene ma con la prevenzione”. Le parole pronunciate da Gino Cecchettin, padre di Giulia, dopo la sentenza di condanna all’ergastolo in primo grado per Filippo Turetta, colpiscono per sobrietà ed equilibrio, ancor di più se si considerano gli aspetti ancora da chiarire della sentenza (saranno le motivazioni a farlo), come l’esclusione dell’aggravante della crudeltà a fronte di un omicidio compiuto con 75 coltellate. L’opposto, tanto per essere chiari, dei toni forcaioli che da tempo la politica utilizza di fronte ai casi giudiziari e che anche ieri molti esponenti politici hanno riproposto dopo la pronuncia della Corte d’assise di Venezia.

 

Il vicepremier e ministro Matteo Salvini, per esempio, si è riferito a Turetta affermando che “ora sarebbe corretto obbligarlo anche a lavorare duramente, in carcere, per evitare che la sua permanenza in galera sia completamente a carico degli italiani” (ignorando, peraltro, che i detenuti sono tenuti a pagare lo stato per il loro mantenimento in carcere). Le senatrici venete della Lega Mara Bizzotto ed Erika Stefani hanno dichiarato in un comunicato che l’ergastolo “è la pena giusta per il colpevole del terribile omicidio di Giulia Cecchettin e per tutte le altre vittime di femminicidio”, come se una sentenza dovesse fare giustizia collettiva di tutte le vittime di femminicidio. Anche per la vicepresidente di Forza Italia al Senato, Licia Ronzulli, la condanna all’ergastolo “se non lenisce il dolore, almeno fa giustizia e lancia un messaggio chiaro e forte. Chi commette femminicidio non ha giustificazioni, attenuanti o scuse di sorta per i suoi atti”.

Insomma, la sentenza su Turetta doveva servire da esempio. Una logica lontana dallo stato di diritto, paradossalmente fatta propria dalla politica ma non dal padre della povera Giulia Cecchettin, cioè dalle parti lese del processo. 

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