editoriali
Separazione delle carriere, ci siamo
Breve promemoria a politici e giudici sul perché è una riforma necessaria
Inizia alla Camera la discussione sulla separazione delle carriere dei magistrati, la riforma più importante, anche in chiave simbolica, fra quelle previste nel pacchetto di riforma costituzionale della giustizia messo (faticosamente) in campo dal ministro Carlo Nordio. La discussione non è ancora entrata nel vivo ma già si è scatenata l’opposizione, non parlamentare ma dei magistrati, con il consueto tono barricadero. L’Anm, pur formalmente ammettendo, con il presidente Santalucia, che “il Parlamento ha tutto il diritto di riformare anche la Costituzione” ha infatti già dato fuoco alle polveri: “Se ci sarà il via libera al ddl Nordio ci muoveremo… cercando in tutti i modi di veicolare le ragioni di contrarietà”. La protesta potrebbe manifestarsi a partire dei numerosi eventi di inaugurazione dell’anno giudiziario previsti per fine gennaio, a votazioni di Montecitorio in corso.
Ci si augura la tenuta da ogni parte di un atteggiamento istituzionale corretto, ricordando che è il Parlamento a deliberare e non l’Anm. Ma vale la pena ricordare una volta di più perché è giusto, importante e urgente che la separazione delle carriere – che non ha nulla di punitivo o addirittura “eversivo” – venga introdotta anche nel nostro paese. E senza fare un trattato di storia, basta ricordare che la necessità di questa riforma è stata avvertita fin dai tempi (1988, quasi quattro decenni) della riforma del processo penale di Giuliano Vassalli. Che introduceva una netta divisione dei ruoli tra magistrati incaricati dell’accusa e giudice per le indagini preliminari: dunque la necessità di evitare sovrapposizioni o possibili vischiosità si faceva più chiara. E con essa, anche le necessità della difesa di poter dibattere ad armi pari di fronte a una riconosciuta terzietà.
I sospetti costantemente avanzati da chi si oppone alla riforma, secondo cui si rischierebbe una sottomissione dei pm all’indirizzo politico, e contemporaneamente un peggioramento della loro “cultura giurisdizionale” sono retorici. I cittadini attendono da decenni di poter affrontare processi trasparenti.