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Tormentone politico-giudiziario

Atto voluto, non dovuto. La storia d'Italia spiegata attraverso le esondazioni dei pm

Gian Domenico Caiazza

Oltre la vergogna del caso Almasri. La risposta ritorsiva della magistratura non è un’opinione, è un sospetto legittimo che si spiega facilmente con la ricerca dei pieni poteri da parte delle procure

Voglio essere molto chiaro: reputo la scelta politica del ministro Nordio e del governo Meloni di non dare esecuzione al mandato di arresto emesso dalla Corte penale internazionale nei confronti di una persona accusata di crimini contro l’umanità e di nefandezze di ogni genere e specie, gravissima nel merito, e addirittura penosa nelle modalità della sua adozione. Lontana anni luce, per capirci, dalla drammatica e superba rivendicazione di sovranità politica di un Bettino Craxi a Sigonella. Qui siamo al “non lo so, non c’ero, e se c’ero dormivo”. Addirittura, la Presidente Meloni nel suo messaggio video lamenta che la Cpi non avrebbe avvertito il ministro Nordio, alludendo forse – provo a immaginare – al mancato invio di una letterina su carta intestata, o forse a una pec, chissà. Il quale Nordio, invece, è stato formalmente informato subito dalla Digos il 19 gennaio, e dalla Procura generale di Roma nuovamente il 20. Ma lui a quanto ci viene detto studiava le carte, mentre Piantedosi approntava l’aereo di Stato per mettere al sicuro il nostro Paese (!) dal pericoloso criminale, riportandolo bel bello a casetta sua. Saremmo alle comiche, se la vicenda non fosse tragica. Questo arresto ci sarebbe costato troppo politicamente, visti gli accordi con la Libia in tema di immigrazione? Beh, si abbia il coraggio e la dignità di dirlo e di rivendicarlo, allora.

 

Ma veniamo al punto: a chi altri spetta di istruire, approfondire e giudicare una simile, tremenda scelta politica, se non al Parlamento, alla politica, ed infine al dibattito pubblico? Ed invece, puntualmente, arriva la magistratura. Immancabile, questo infaticabile guardiano della moralità pubblica e privata, e sempre più spesso anche della ortodossia politica, si intromette ed occupa la scena. E lo fa -tiene a precisarlo sistematicamente- a colpi di “atti dovuti”. Non per cattiveria, è che sono costretto. Tra obbligatorietà dell’azione penale, una cosa e l’altra, me ne devo occupare. Qui, per esempio, hai letto cosa ha scritto l’avvocato Li Gotti? Secondo lui si potrebbe configurare, in quella decisione politica, un favoreggiamento personale del torturatore libico. E già che ci siamo, un peculato, per quella storiaccia dell’aereo.

  

                      

Certo sono ipotesi un po' forti, diciamo, un po' avventurose, ma le fa quell’avvocato, mica il quisque de populo, quindi sai, come si fa? L’atto è dovuto, poche storie. E subito l’Anm, sussiegosa, ammonisce: leggetevi l’art. 6 comma 1 legge costituzionale n.1/89, la trasmissione al Tribunale dei ministri è atto dovuto. Si, mi permetto di aggiungere, ma sempre dopo una doverosa, ineludibile delibazione di almeno apparente plausibilità della notizia criminis, tant’è che il comma 2 prevede che la procura trasmetta al Tribunale dei ministri “con le sue richieste”. Insomma, mi sentirei di escludere che la procura di Roma sia tenuta da quella legge costituzionale a trasformarsi in una specie di postino dell’avvocato Li Gotti.

 

Starei molto attento ad accreditare una simile idea perché, se le cose stanno così, gli oppositori più petulanti del governo potranno da oggi sbizzarrirsi, mitragliando esposti contro ministri e presidente del Consiglio per ottenerne l’automatico impegno investigativo del Tribunale dei Ministri, o altrimenti rendendosi pronti ad accusare la Procura di Roma di inammissibile faziosità politica: perché quello sì, e il mio esposto no? Questo tormentone dell’ “atto dovuto” segna e scandisce la storia politico-giudiziaria del nostro paese da oltre trent’anni. Una norma di garanzia si è trasformata nella formidabile arma in mano alle procure italiane per segnare le sorti della politica.

 

La sinergia con il feticcio dell’azione penale obbligatoria (che è invece di fatto discrezionale da decenni), coniugata con l’anticipazione ormai definitiva dello stigma sociale dalla sentenza di condanna alla mera incriminazione, hanno rappresentato e rappresentano la formula magica che ha alterato l’equilibrio costituzionale tra i poteri, conferendo alla Pubblica Accusa una specie di diritto di vita e di morte sulla politica. Per non dire della tempistica di questi “atti dovuti”. Lasciatelo dire a chi, come me, non ha mai votato in vita sua né Berlusconi né il centrodestra: sarà bene ricordare che il famoso avviso di garanzia a Silvio Berlusconi nel giorno solenne della riunione del G7 da lui presieduto nel 1994, fu rivendicato come “atto dovuto”. Era dovuto proprio quel giorno? Non il giorno dopo, o una settimana dopo, no: quel giorno lì. Questo solo per fare un esempio, uno dei più celebri, ma sono tali e tanti nella storia di questo trentennio che potremmo scriverne un bel libro, da intitolare proprio “atti dovuti”, per ricostruirne tempistica, impatto politico ed esito giudiziario finale, e ragionare su questa anomalia democratica che viviamo nel nostro Paese. Una delle cui conseguenze più rilevanti è che qui nessuno più si fida di nessuno, sicché l’attribuzione – anche strumentale e gratuita – di una volontà politica dietro questo o quel provvedimento giudiziario appare sempre e comunque plausibile, in questa condizione di gravissimo deterioramento dei rapporti tra poteri dello stato. 

 

Ed ecco che questo “atto dovuto” obiettivamente senza precedenti (un presidente del Consiglio, due ministri e un sottosegretario, tutti – agli occhi del mondo – tirati dentro a una inchiesta giudiziaria sulla base di mere valutazioni soggettive dell’autore dell’esposto sulla possibile rilevanza penale di fatti noti), verificatosi all’indomani della eclatante e scomposta protesta di magistrati sul piede di guerra contro una legittima riforma costituzionale quale quella della separazione delle carriere, scatena letture politiche di quel fatto, subito inteso come la (assai preconizzata e temuta) risposta ritorsiva della magistratura. Giuste o sbagliate, plausibili o arbitrarie che siano, quelle letture, per tutte le ragioni che ci siamo detti, sono per lo meno plausibili. La qual cosa dovrebbe bastare e avanzare per far comprendere a tutti noi che questa storia degli “atti dovuti” ha perso ogni residua credibilità, e che è giunta l’ora di affrontarla e di risolverla al meglio possibile. Più presto si fa, meglio è.​