Alberto Stasi (foto LaPresse)

editoriali

Delitto di Garlasco: le indagini senza tempo sono una pessima notizia, ma forse non in questo caso

Redazione

La procura ha chiesto la riapertura delle indagini sull'omicidio di Chiara Poggi dopo che è stato verificato che il dna sotto le unghie della ragazza uccisa era utilizzabile. All'inizio la richiesta era stata respinta dal giudice delle indagini preliminari. La Cassazione ha però riconosciuto la legittimità della nuova iniziativa della procura

La vicenda giudiziaria seguita all’omicidio di Chiara Poggi, perpetrato nel 2007 a Garlasco, ha mostrato due atteggiamenti diversi, a distanza di anni, della procura di Pavia. Nella prima fase si è espressa una convinzione assoluta, quasi ossessiva, della colpevolezza del fidanzato della ragazza, Alberto Stasi, che era stato assolto in primo grado e, dopo l’appello della procura, anche in secondo grado. A quel punto la procura si è rivolta alla Cassazione, che ha ordinato di ripetere il processo, al termine del quale Stasi è stato condannato a 16 anni di reclusione, e poi la Cassazione ha confermato la condanna rendendola definitiva.

   

Nel corso di questa stessa prima fase la difesa aveva insistito perché si esaminassero le tracce di Dna presenti sul corpo della vittima, ma la procura aveva sostenuto che quelle tracce erano inutilizzabili e il suo parere fu confermato e il ricorso della difesa respinto. La seconda fase nasce da quelle tracce rinvenute attorno alle dita della ragazza, che nel 2016 una perizia genetica disposta dalla difesa di Stati aveva attribuito al profilo di Andrea Sempio, amico del fratello della vittima, oggi indagato dalla stessa procura (ma da altri sostituti procuratori). Dopo aver verificato che quel Dna è utilizzabile, la procura ha chiesto la riapertura delle indagini su Sempio, e dopo che la richiesta era stata respinta dal giudice delle indagini preliminari, si è rivolta alla Cassazione, che ha riconosciuto la legittimità della nuova iniziativa della procura, il che porta all’apertura di una nuova fase della vicenda giudiziaria.

   

Difficile dire come andrà a finire, ma quello che si può sostenere è che c’è stata in una prima fase una volontà accusatoria talmente forte da spingere a trascurare altre possibilità e uno scrupolo lodevole, nella nuova fase che si apre, di voler esaminare tutti di dati, anche quelli a suo tempo considerati irrilevanti in modo almeno semplicistico. Chi ama lo stato di diritto non può che compiacersi del fatto che, anche in una situazione così complessa, si preferisca cercare la verità giudiziaria anche dopo una condanna definitiva e anche in contraddizione palese con altri colleghi della stessa procura.

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