
Alberto Stasi (foto Ansa)
editoriali
Il ragionevole dubbio su Garlasco
Diritti e processi. Elogio del gup Stefano Vitelli che, a 35 anni, scelse di non condannare Stasi
La primissima fase del procedimento sull’omicidio di Chiara Poggi a Garlasco fu condotta da Stefano Vitelli, che allora, a 35 anni, era gup (giudice dell’udienza preliminare) di Vigevano che decise per l’assoluzione di Alberto stasi, peraltro confermata nel primo appello. Intervistato dal Corriere, Vitelli rievoca quel processo e si rifiuta di commentare gli avvenimenti successivi, in base a un principio di non ingerenza che gli fa onore. Spiega con chiarezza quanto fossero poco convincenti e talora contraddittori gli indizi citati dalla procura, tali da lasciare ben più di un “ragionevole dubbio”. A suo avviso “sembrava mancare qualcosa che lo incastrasse”, anzi “tutto ciò che veniva fatto aumentava i dubbi”. Appunto il dubbio, che tanto ripugna ai processi mediatici, è invece il principio sul quale si deve costruire un’azione giudiziaria volta solo alla ricerca delle prove e alla verifica della loro solidità.
Vitelli non esprime opinioni sul comportamento della procura pavese, sia quella che sostenne prima ossessivamente la colpevolezza dell’imputato, sia quella che oggi vuole verificare tutto da capo, ma rileggendo la sua sentenza di allora ripete “con gli elementi che avevo allora era sacrosanto assolvere Stasi. E quel che penso io nell’intimo poco importa, il nostro deve essere un lavoro laico”. Laico nel senso che la sentenza non dipende dalle convinzioni che si possono avere ma soltanto dalla verifica della solidità delle prove “al di là di ogni ragionevole dubbio”. Non è un caso che Vitelli associ a questa concezione laica del ruolo del giudice il rifiuto di ogni tipo di influenza, persino di ogni confronto con procura o avvocati al di fuori delle udienze. Espressa con toni sommessi e senza personalismi, quella di Vitelli è una lezione di stile che dovrebbe essere meditata soprattutto da chi esercita la delicatissima funzione di giudicare, compreso l’esempio di chi è riuscito a non farsi influenzare in nessun modo da una sovraesposizione mediatica di un delitto, il che non è facile ma è assolutamente necessario.