Cinque partite non proprio facili ma di gran futuro
La fusione di Atm, i guai di Fiera, i progetti di A2A, università e arte. Ecco che succede
Atm, l’intesa avanza
Liberato il campo da Bruno Rota (finito alla corte di Virginia Raggi, nuovo direttore generale di Atac), siglata la pace coi sindacati che chiedevano di mantenere un unicum in grembo ad Atm, ora Giuseppe Sala e Roberto Maroni possono riprendere la lunga marcia verso un’intesa col gruppo Ferrovie dello stato. Proprio lunedì scorso, davanti a una platea molto interessata, a Brescia, il ministro Graziano Delrio – grande sponsor del possibile accordo, con Renato Mazzoncini ad di Fs – ha ricordato che il trasporto pubblico locale ha bisogno di grandi investimenti. E Fs ha già pronti 96 miliardi per le reti locali. Non resta che attendere. L’insediamento del nuovo cda in Atm, che sembra mansueto, il nuovo dg, che pare abbia già nome e cognome. Poi ci sarà da scegliere tra gara e servizio in house per l’Atm. Ma all’orizzonte – probabilmente dopo il voto di primavera e la riconferma di Maroni – c’è l’intesa con Fs e la fusione Atm-Trenord. Obiettivo: creare un colosso della mobilità in grado di giocare le proprie carte sul terreno industriale e finanziario. E chissà che non ci guadagnino in efficienza e puntualità anche i passeggeri.
A2A cresce. Ora ha bisogno di acqua
Il fiore all’occhiello delle utilities lombarde, a metà strada tra Milano e Brescia, continua a crescere. Confermato al timone il gruppo dirigente che l’ha fatta decollare – Giovanni Valotti alla presidenza e Luca Valerio Camerano ad, con qualche delega in più (premio di consolazione dopo l’esclusione dai vertici di Terna) – A2A vola verso una dimensione nazionale, e oltre. Nel quinquennio 2017-2021 sono previsti investimenti da 2,75 miliardi, uno sforzo significativo e completamente autofinanziato. Necessario a completare la trasformazione del gruppo. Le ambizione della società (un tempo Aem) sono grandi. Qualche settimana fa A2A ha sottoscritto una lettera di intenti per costruire una partnership con un gruppo di multiutility del territorio lombardo, Acsm-Agam, Aspem, Aevv, Lario Reti Holding, per consolidare la propria struttura. In vista di altre operazioni tra finanza e industria. Sullo sfondo la partita dell’acqua che, contrariamente a quanto pensano dalle parti di Legambiente, ha un enorme valore aggiunto, rappresentato dagli impianti che la purificano e la distribuiscono. Solo nell’area tra Milano e Brianza sopravvive una selva di aziende impegnate nella gestione delle acque, con le poltrone occupate militarmente dagli enti locali e dai partiti. C’è MM Spa, nata come società di engineering, che oggi gestisce l’acquedotto di Milano e le case popolari. Il Gruppo Cap, che si occupa delle acque della provincia di Milano, e tante altre società a capitale quasi completamente pubblico, come Brianza Acque. A2A potrebbe diventare l’asso pigliatutto e gestire un immenso patrimonio anche in chiave finanziaria. Ma ci vorrà tempo.
Braccio di ferro in Fiera (coi pm)
La Fondazione Fiera conferma Corrado Colli, amministratore delegato designato di Fiera Milano spa, nonostante la bocciatura della Procura di Milano. Parere negativo motivato da ragioni di opportunità. Non c’è peggior sordo di chi non vuole sentire. La nomina rimane appesa a un filo. L’ultima parola spetta alla Sezione misure di prevenzione del Tribunale, presieduta da Fabio Roia. L’attenzione della magistratura sull’azione della Fiera dopo gli arresti per mafia nello scandalo della società Nolostand, controllata da Fiera Milano spa, è sempre forte. Corrado Colli in passato era stato coinvolto nel processo di bancarotta fraudolenta di Opengate, la società per cui il manager ha lavorato dal 2000 al 2003. Dei tre capi d'imputazione, due si erano risolti con un’assoluzione con formula piena “perché il fatto non sussiste”, il terzo fu prescritto. Però la procura nei giorni scorsi ha emesso parere negativo. Tutto questo a pochi giorni dall’assemblea straordinaria e ordinaria degli azionisti di Fiera Milano spa, convocata per venerdì 21 aprile per nominare i nuovi vertici (presidente Alberto Baldan e ad, appunto, Corrado Colli) e il nuovo cda. Nella riunione di martedì di Fondazione Fiera, presieduta da Giovanni Gorno Tempini, c’è chi si è mostrato perplesso su Colli, ma si è preferito andare avanti ugualmente. La parola fine a questa vicenda non è stata ancora scritta.
Campus sì e campus no
Piccole resistenze, posizioni ideologiche, forse interessi per dire no al trasferimento della facoltà scientifiche della Statale di Città Studi sull’ex area Expo a Rho-Pero. Tutto spazzato via dal buon senso. Senato accademico e cda della Statale hanno detto sì. La linea del rettore Luca Vago è passata senza intoppi, se non per qualche mugugno di studenti e professori. Proteste, soprattutto, degli abitanti di Città Studi preoccupati per lo svuotamento del quartiere, ma anche per il business degli affitti in nero degli studenti fuori sede, suggeriscono i maligni. Case, stanze, letti rimarranno vuoti. Milioni di euro all’anno. Ma Milano sta cambiando e le università non possono perdere il treno dell’ammodernamento didattico e tecnologico. La Statale corre. Ha già fornito ad Arexpo tutti i dati e le esigenze per il trasloco, che tra l’altro vale 8 milioni di euro di risparmi all’anno solo per la manutenzione delle vecchie strutture. per la manutenzione. Ora si attende il masterplan in cui, oltre al campus della Statale (18 mila studenti delle facoltà scientifiche), ci sono Human Technopole, il polo di ricerca privato, il nuovo ospedale Galeazzi. Il campus – è la richiesta di Vago – non potrà essere distante più di dieci minuti a piedi da una stazione di trasporto. E Città Studi? La Facoltà di Veterinaria si trasferirà a Lodi nel 2018. La Statale ritiene di occupare quegli edifici con i Beni Culturali dell’università, oggi sparsi in diverse sedi per Milano. In via Celoria troverà posto anche il prezioso archivio universitario. Parte di altri edifici storici verranno riutilizzati da altre facoltà. Tutto il contrario della situazione dell’Accademia di Brera dopo l’ennesima bocciatura, la scorsa settimana da parte del Consiglio accademico, dell’accordo con governo che avrebbe sbloccato il progetto per un nuovo campus (e 30 milioni del Cipe). Conservatorismo ideologico, personalismi, disinformazione e pregiudizi (nessuna “chiusura” della sede di Brera è prevista) faranno sì che gli studenti di Belle arti (del resto già dislocati in sedi provvisorie), rimangano in aule non più adeguate al rango dei loro studi. Almeno fino a nuovo protocollo d’intesa.
Al gran mercato dell’arte
La 22° edizione di Miart, la Fiera internazionale d’arte moderna e contemporanea, s’è svolta dal 31 marzo al 2 aprile, un po’ oscurata dal tripudio mediatico del Mobile. Ma, diretta per la prima volta da Alessandro Rabottini, non sono sfuggiti ad operatori e addetti il cambio di passo e le ambizioni future. 174 gallerie espositrici, tra cui il 41 per cento straniere e 45 mila visitatori hanno ribadito che Miart è ormai un evento di riferimento in Italia e in Europa. Rabottini ha ringraziato collezionisti, curatori e pubblico internazionale per “l’altissima qualità delle presentazioni e delle opere negli stand, l’ottimo livello di vendite, la risposta calorosa del pubblico e degli addetti ai lavori e l’energia travolgente”. L’autentica impennata delle vendite (“straordinaria”, l’ha definita Simona Greco, direttrice dell'evento per Fiera Milano) testimonia un buon momento economico generale per l’arte, ma anche un’autorevolezza di Milano come mercato di riferimento. L’obiettivo di inserirsi a pieno titolo nel grande calendario internazionale, scalando qualche posizione, è centrato.