Il destino di Torre Velasca, grattacielo-grattacapo di UnipolSai
Con i suoi “soli” 106 metri è in un angolino, scavalcata dai pennoni simbolo del potere della finanza: l’Unicredit Tower, le torri di Allianz e di Generali
E’ lì, ritta da quasi 60 anni. Una volta era osannata, adesso dimenticata. Scavalcata, con i suoi “soli” 106 metri, nella classifica degli edifici più alti della città dai pennoni simbolo del potere della finanza: l’Unicredit Tower, le torri di Allianz e di Generali. Oltre che dalla sede della Regione Lombardia. Insomma, la Torre Velasca è in un angolino. Tutti se la ricordano, un tempo la fotografa chiunque, veniva immortalata nelle cartoline, diveniva sfondo di film. Oggi è ferma e immobile in attesa del suo futuro. Un percorso non facile per la costruzione realizzata a partire dal 1950 dallo storico studio d’architettura BBPR e finita tra le “riserve” da proteggere della Soprintendenza per i Beni culturali, un simbolo di fama mondiale della rinascita architettonica della Milano del secondo Novecento. Perché? Per un semplice motivo. Negli ultimi anni della gestione Fondiaria-Sai targata Ligresti nessuno se ne occupava più. Nessuno ha fatto gli interventi necessari per ridarle l’antico splendore, di cui hanno goditua anche celebri inquilini privati. E così il suo fascino è andato perduto. La sua forma unica che fece storcere il naso agli inglesi (The Daily Telegraph la inserì nella lista degli edifici più brutti al mondo), ma più spesso ha lasciato con il naso all’insù i turisti e raccolto i consensi di critici e urbanisti.
Ma anche da quando la proprietà della compagnia assicurativa fiorentin-piemontese è passata di mano, dai Ligresti finiti in disgrazia alla Unipol delle Coop rosse emiliane, le cose non sono cambiate. Certo per il gruppo di Bologna le priorità erano e restano altre, il core business delle polizze e la ridefinizione del perimetro di Unipol Banca: progetti che magari confluiranno in un deal con la Bper emiliana. Perché se è vero che da almeno 3 anni, ma forse sono già 4, gli uomini del mattone della compagnia assicurativa hanno avviato, con tanto di cocktail e presentazione piena di vip, il rilancio e il riposizionamento della Torre Velasca, tutto è ancora fermo. Sì, i lavori proseguono, ci mancherebbe. Ma il futuro dell’edificio resta ancora tutto da decidere. Del resto ci sono vincoli architettonici interni ed esterni: Torre Velasca a presa per quello che è, una delle massime espressioni del Razionalismo italiano. Ma chi potrebbe comprarla, visto che in teoria UnipolSai vorrebbe venderla da almeno 12 mesi? Ci ha provato il fondo internazionale misconosciuto Orion. Ci ha provato, passando pure per le buone entrature del sindaco Beppe Sala, tifoso interista, anche Mr. Suning, Zhang Jindong, il nuovo proprietario del club di via Turati. Zhang senior voleva fare il colpaccio di marketing territoriale: affiancare un’icona archittetonica all’Inter. E sfruttare gli spazi commerciali che si trovano ai piedi della Torre per provare ad aprire un primo store italiano targato Suning, magari con la mediazione commerciale di Antonio Percassi, il patron dell’Atalanta e del centro commerciale di Orio al Serio. Niente, nulla da fare: le avances di Orion e del ricco cinese si fermavano a poco più di 100 milioni. Troppo poco per il gran capo di UnipolSai, Carlo Cimbri, che vorrebbe alzare la posta e incassare molto di più visto che per altri edifici ereditati dal fu impero Ligresti, come l’indecifrabile Rasoio dell’Isola, sarà difficile trovare una vera e propria collocazione o un compratore. E se mentre procedono i lavori per l’altra torre milanese, meno nobile e di dimensioni assai più ridotte, la Galfa, e in zona Stazione Centrale il cantiere procede celermente, con la Velasca i giochi sono tutti da fare. Toccherà alzare la posta, chiamare in causa advisor di rango per trovare un compratore. Il percorso pareva avviato, ma invece nulla. Avvocati e banchieri d’affari non vedono l’ora di avere per le mani il dossier per cercare un emiro, un cinese super ricco (oltre a Zhang), un magnate russo. La Torre Velasca potrebbe essere il simbolo italiano del Trumpismo – le torri del presidente Usa sono in mezzo mondo, ma non in Europa – ma sarebbe forse troppo. Certamente il building fa gola. Tanti immobiliari vorrebbero essere convocati dai consulenti di Cimbri, fare il viaggio fino a Bologna per depositare l’assegno. Ma tra il dire e il fare c’è di mezzo un mare. Di soldi.