Scrivere dei soldi
I giornali non vanno benone, eppure l’editoria economica rilancia. Sarà l’effetto ripresa
E’ la capitale finanziaria, economica e industriale del paese, su questo non ci sono dubbi. Ed è forse per questa ragione che nonostante la crisi conclamata dell’editoria, intesa sia come vendite in edicola sia come raccolta pubblicitaria (la flessione è costante dal 2008) in meno di un anno sono spuntati, come funghi, prodotti dedicati al bussines, all’industria, alla finanza. Anche se, dati alla mano, parrebbe non essercene bisogno: basti dire che gli investimenti in advertising sui periodici nel 2016 solo calati ancora a 456 milioni (-4%) e alla fine del luglio di quest’anno sono in flessione del 7,1% (239 milioni). Per una proiezione su base annua di 410 milioni. A ciò va aggiunto che la testata di riferimento, ovvero il Sole 24 Ore di Confindustria, alle prese con un aumento di capitale da 70 milioni, è sceso a 52 mila copie vendute in edicola e che l’unico competitor cartaceo accertato, ovvero il settimanale Milano Finanza, viaggia a 49 mila copie vendute ogni sabato. Di altro c’è ben poco in giro. Ed è forse per questa ragione che gli editori, anche quelli nativi digitali, ci si stanno buttando a capofitto, al di là delle ragioni commerciali. Tanto più che uno assai attento al conto economico come Urbano Cairo ha deciso di rilanciare l’allegato del lunedì del Corriere dello Sera, con il rinnovato L’Economia (dal 13 marzo scorso). Un dorso che, a differenza degli anni scorsi e della concorrenza diretta (Affari & Finanza di Repubblica) è uscito a cadenza regolare anche in agosto quando, si sa, tipicamente la finanza va in letargo.
Ma il vero trend pare essere quello dei mensili specializzati. Perché se nell’ottobre di un anno fa il gruppo Triboo Media (17 testate esclusivamente online oltre a più di 250 siti in concessione ed è pronto a passare dal listino di Borsa dedicato alle pmi al listino principale visti i risultati e i volumi costantemente in crescita), ha definito la brand extention cartacea mensile della testata web Wall Street Italia, poche settimane fa è stata presentata l’edizione italiana dello storico e celebrato periodico Usa, Forbes: la versione nostrana, sempre a cadenza mensile (100 mila copie la tiratura attesa) sarà gestita dalla quotata, all'Aim, Blue Financial Communication, specializzata anch’essa finora esclusivamente su testate digitali. Lo scorso 18 maggio poi ha debuttato, o meglio è tornato, il marchio Economy. Questa volta però la testata che venne lanciata a metà del 2003 dalla Mondadori non è più un settimanale, ma è diventata un mensile, guarda caso, diretto da Sergio Luciano. In una sfida tutta da valutare e decifrare visto che ormai l’economia e la finanza si fanno in tempo reale (Economy e Forbes Italia ovviamente hanno il loro sito omologo) se è vero che ormai l’informazione settoriale è ristretta e l’offerta cartacea tradizionale è relegata ai mensili di Class Editori, Capital, Class e Gentleman visto che l’altro storico prodotto di riferimento del mercato, ossia Gente Money, è confinato a semplice sezione web del portale Leonardo.it (gestito guarda caso da Triboo Media). Ma quel che fa pensare, sul futuro dell’editoria di nicchia, verticale, dedicata al mondo economico è il fatto che pure il gruppo Gedi (nato dalla fusione tra il Gruppo L’Espresso e la Itedi degli Agnelli-Elkann) ha deciso di buttarsi in questa avventura lanciando nei mesi scorsi il sito ad hoc Business Insider: branch, chiamiamola così, del medesimo giornale online made in Usa rilevato alcuni anni fa dal colosso tedesco Axel Springer, numero uno in Europa sul fronte del business editoriale digitale. Precursore, in questo senso, è stato però Giovanni Iozzia, guarda caso già con.direttore di Economy targato Mondadori e prima ancora responsabile di Capital. Che a Milano sia tornata voglia di fare soldi scrivendo di soldi? Del resto solo nel 2017 è stata portata a termine la più importante operazione di ricapitalizzazione del settore bancario su scala europea, ovvero i 13 miliardi chiesti, e ottenuti, da Unicredit e si sta per definire la più grande quotazione, in termini di raccolta di capitali (ben oltre i 2 miliardi) sui listini del Vecchio Continente, e seconda al mondo in assoluto dietro l’ipo di Snapchat, ovvero quella della Pirelli targata ChemChina e guidata da Marco Tronchetti Provera. Senza considerare il boom dei cosiddetti Pir (piani individuali di risparmio) che su base annua dovrebbero raccogliere qualcosa come 10 miliardi: un nuovo filone che ha fatto dire di recente a Ennio Doris, padrone e padre nobile di Banca Mediolanum, di voler definire qualcosa come 1.000 (mille) quotazioni alla Borsa di Milano.