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Perché Sala sente ululare e cambia toni. In gioco c'è più che Milano

Redazione

Tutti sanno che la prossima partita politica rischia di essere un Armageddon per il Pd. Ecco perché il sindaco meneghino ha iniziato ad alzare la voce

Mercoledì mattina presto Pierfrancesco Majorino twittava adrenalinico (per non dire altro): “Leggo che si vogliono fare le #primariepd il 3 marzo. Una pazzia di un ceto politico palesemente inadeguato. (Già farle a febbraio sarebbe tardi ma a marzo!!!)”. Qualcuno, anche al di fuori dal Pd, può dargli torto? No. Ma il fatto di avere ragione, a sinistra, non è una ragione sufficiente per essere ascoltati. Magari, l’unica soluzione è alzare la voce, alzare i toni: tipo la new wave di Beppe Sala, per intenderci.

 

La democrazia interna della sinistra meneghina-lombarda procede con le sue regole e i suoi riti, sono arrivate le liste dei candidati all’Assemblea metropolitana del Pd, ci sono i candidati alla segreteria regionale, ci sono le cineserie di voto per evitare pasticci. La cittadella della democrazia. Intanto fuori, si sente ululare. Neanche tanto lontano. Tutti sanno che la prossima partita politica rischia di essere un Armageddon. Dal risultato della Lega alle europee (più quello della Lega che quello dei Cinque stelle, a Milano e in Lombardia) dipenderanno molte cose. E se (scenario estremo, ma non impossibile) Matteo Salvini riuscisse a portare a casa il voto politico anticipato, la situazione si farebbe da ultima spiaggia, per i dem e anche per i moderati del centrodestra, qui al nord. Ma, molto più semplicemente: tra un paio di anni si voterà per il sindaco della principale città italiana, e quelli del Pd potrebbero ritrovarsi a dire, come i texani prima del disastro: “Ricordatevi di Alamo”. In tutto questo, l’unico player di rilevanza (o almeno notorietà) nazionale che la sinistra milanese ha, al momento, sulla scacchiera è Beppe Sala. Non esente da colpe, con i suoi, in tanti rallentamenti fin qui avvenuti della sua amministrazione. Il robusto programma di riforme e interventi promesso è, per le cose più importanti, impantanato. Ma, ugualmente, è a questa città e a questa amministrazione che sono ancora legati il successo – e la spendibilità su scala nazionale – di quel “Modello Milano” che è stato uno dei prodotti migliori del riformismo di governo degli ultimi anni. Un modello non solo di città, ma di relazioni economiche, di apertura internazionale, di snellimento delle procedure, di investimento pubblico e privato tutto teso a far crescere il territorio, l’economia, le possibilità sociali. Un modello che ora mostra qualche impaccio ma che soprattutto è minacciato, e prima o poi potrebbe essere travolto, da un governo che ha fermato la crescita persino in una regione come la Lombardia (i dati Unioncamere e Assolombarda dei giorni scorsi), che minaccia di bloccare le infrastrutture, che frena l’occupazione.

 

Chi si è stupito sabato scorso, ho ha fatto finta di stupirsi, per l’uscita in linguaggio aggressivo pop di Beppe Sala sulla chiusura (paventata) dei negozi alla domenica – “Se la vogliono fare in provincia di Avellino la facciano, ma a Milano è contro il senso comune. Pensassero alle grandi questioni politiche, non a rompere le palle a noi che abbiamo un modello che funziona e nove milioni di turisti” – probabilmente non ha capito, o sottovaluta, tutto quanto abbiamo scritto qui sopra. Il sindaco di Milano sa, più per fiuto che per strategia politica, che la prima battaglia che deve affrontare, iniziando a cannoneggiare, è contro gli affossatori dell’economia. E non ha bisogno di farsi ascoltare solo da Assolombarda o dai circoli finanziari, che la pensano come lui. Ma deve farsi capire da milioni di cittadini, e soprattutto di lavoratori della “iper-città” con la sua cintura industriale di grande distribuzione e di logistica. Far capire ai potenziali elettori populisti che frenare vuol dire impoverirsi, perdere posti di lavoro. Ma Sala sa anche che il vero avversario, sul territorio e per la sua (eventuale) corsa al secondo mandato è Matteo Salvini. Con il suo linguaggio, la sua presa sulla gente, i suoi temi d’assedio che vengono dalle periferie: immigrazione, sicurezza, Europa. E non certo da piazza Gae Aulenti. Bisogna parlare (un pochetto) come lui. E bisogna provare spiegare agli elettori di Salvini che la politica del governo di Salvini fa male, innanzitutto, proprio a loro. Che Beppe Sala possa trasformarsi in futuro in un aggressivo capopopolo, è difficile. Il meglio di sé lo dà su altri campi, come ad esempio la partita (difficile) per le Olimpiadi. Ma non è diventato un populista volgare: ha sentito ululare i lupi.

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