La grande retromarcia di Trump
La politica economica del nuovo presidente americano è calma piatta, almeno per ora
Doveva essere un disastro e invece, per ora, semplicemente non è. La politica economica del nuovo presidente americano, Donald Trump, è calma piatta, soprattutto rispetto alla retorica incendiaria elettorale. Ieri ha annunciato “il più grande taglio alle tasse della storia”, ma i mercati sembrano non prenderlo più in parola e non reagiscono. D’altronde, anche la sua annunciata politica commerciale si sta dimostrando una cialtronata. Le negoziazioni del Ttip, il trattato di libero scambio tra Stati Uniti e Ue, sono riprese la settimana scorsa e probabilmente procederanno un po’ a singhiozzo, proprio come con Obama. Il Nafta, l’accordo commerciale tra America, Messico e Canada che Trump aveva giurato di stralciare appena insediato – “worst trade deal ever” – probabilmente verrà solo “rivisitato”. La guerra alla Cina “che fa concorrenza sleale distruggendo posti di lavoro americani” si è trasformata in un rifiuto, da parte del Tesoro, di classificarla come “manipolatrice di valuta”. E dei dazi al 40 per cento sui prodotti importati da Pechino neanche l’ombra. Il Tpp, l’accordo con i paesi del Pacifico, è stato stralciato, ma la mossa sembra più un favore alla Cina che ai lavoratori americani della “Rust Belt”, cui in teoria il messaggio era indirizzato. Il Fondo monetario internazionale, quindi, deve aver calcolato il tasso di tracotanza delle promesse elettorali del maverick, e si è rincuorato. E’ passato dai toni apocalittici contro il protezionismo tout court a quelli concilianti di un’istituzione bipartisan, che invita i paesi a instaurare “relazioni collaborative”. Trump non sta sovvertendo l’ordine mondiale fondato sul libero commercio come aveva promesso. Per la crescita economica mondiale è una good news. Per ora.
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