In medio oriente le rivolte finiscono male
Gli ostacoli alle riforme sono scoraggianti, scrive l'Atlantic. Il ruolo dell'America e il silenzio di Federica Mogherini
I movimenti di protesta, nel medio oriente, vengono repressi con violenza e raramente finiscono bene”, ha scritto l’analista Karim Sadjadpour sull’Atlantic. “Anche quando le proteste ‘hanno successo’ nel deporre un autocrate, raramente riescono a porre fine all’autocrazia. In Iran gli ostacoli al successo sono scoraggianti. Mentre gran parte dei paesi mediorientali sono governati da autocrati laici impegnati a reprimere sopratutto l’opposizione islamista, in Iran c’è un’autocrazia islamista impegnata a reprimere l’opposizione laica. Questo gruppo di cittadini dinamico, disarmato, disorganizzato e senza guida, in cerca di dignità economica e pluralismo, che si oppone alla rapace teocrazia di governo, armata fino ai denti, ben organizzata e in cerca di martiri, non è una ricetta per il successo. E tuttavia, nonostante le premesse sfavorevoli, le proteste antigovernative dell’Iran stanno spuntando come funghi – seppure su una scala molto inferiore rispetto alle rivolte del 2009 – e sono senza precedenti per la loro intensità e diffusione geografica. Sono cominciate il 28 dicembre a Mashhad, una città di pellegrinaggio sciita spesso considerata una roccaforte del regime, con i protestanti che cantavano slogan come ‘lasciate in pace la Siria, pensate a noi’. Presto si sono espansi a Qom, la città più sacra dell’Iran, dove i protestanti hanno espresso nostalgia per Reza Shah, l’autocrate modernizzatore del Ventesimo secolo che aveva represso il clero senza pietà.
Si sono poi espansi alle città provinciali, con migliaia a cantare ‘non vogliamo una repubblica islamica’ a Najafabad, ‘a morte le guardie rivoluzionarie’ a Rasht e ‘a morte il dittatore’ a Khoramabad. Da allora si sono espansi a Teheran, e sono stati arrestati in centinaia, stando alla Bbc che ha citato fonti ufficiali iraniane. Che cosa abbia causato le proteste è oggetto di dibattito: sembra che inizialmente siano state incoraggiate da gruppi estremisti per imbarazzare il presidente Hassan Rouhani, ma quel che le ha alimentate sono le questioni alla base di tutti i gruppi di opposizione governativa: l’aumento del costo della vita, la corruzione endemica, le frodi, la malagestione dello Stato. In Iran si aggiunge a questo cocktail amaro la repressione politica e sociale, il tutto mescolato sul piedistallo morale della teocrazia islamista. (…) I leader americani, allora, che cosa possono fare? Un suggerimento concreto è quello di chiarire che le aziende e i paesi in giro per il mondo che si rendono complici dell’apparato repressivo iraniano, incluso chiunque gli fornisca le tecnologie di censura, verranno censurati dagli Stati Uniti. L’America dovrebbe anche mobilitare i suoi partner globali che intrattengono rapporti di collaborazione con l’Iran – inclusa l’Europa il Giappone, la Corea del sud e l’India – affinché aggiungano le proprie voci di preoccupazione e condanna per la repressione di Teheran. Federica Mogherini, capo della politica estera europea, è rimasta in silenzio sotto gli occhi di tutti”.
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