La Turchia sembra un romanzo di Altan
Erdogan pare uscito da un libro dei giornalisti all'ergastolo, scrive lo Spectator
"Ci sono volute solo poche ore perché la speranza si trasformasse in una nuova disperazione”. Così lo Spectator. “All’ora di pranzo di venerdì, il giornalista tedesco-turco Deniz Yucel è stato liberato dopo oltre un anno di detenzione. Un’immagine di Yucel che abbracciava sua moglie – che aveva sposato mentre era in carcere – fuori dai cancelli di cemento e filo spinato della prigione di Istanbul, Silivri, correva attraverso i social media, fino a un giubilo diffuso. Ma alla chiamata alla preghiera della sera altri sei giornalisti erano stati condannati e incarcerati, tre di loro con ergastoli.
Mehmet e Ahmet Altan, fratelli sessantenni, sono stati per decenni nell’establishment turco. Come redattore capo del giornale Taraf, Ahmet fu processato per un articolo che aveva scritto sulle vittime del genocidio armeno. Mehmet era un famoso corrispondente di economia. Nazli Ilicak, 73 anni, il terzo a essere condannato all’ergastolo, è stato un deputato per il principale partito di opposizione prima di diventare giornalista. Tutti e tre sono stati arrestati subito dopo il colpo di stato, accusati di aver inviato messaggi subliminali per i gulenisti durante la loro apparizione in uno show televisivo. A meno che i loro casi non siano rovesciati, moriranno in prigione. Quindi questa è la Turchia: il più grande carcere al mondo di giornalisti, e una nazione un tempo sulla strada della democratizzazione che è scivolata così in là, e così rapidamente, nell’autoritarismo che tutti noi che vi abbiamo assistito stiamo annaspando.
Ci sono quelli che diranno che hanno sempre saputo che sarebbe andata a finire in quel modo e che Erdogan non ha mai avuto un filo di democrazia nel suo Dna. Ma la maggior parte dei turchi ammette di aver serbato una speranza nell’uomo che sembrava un liberatore. Erdogan una volta voleva portare la Turchia in Europa. Voleva fare la pace con i curdi. Soprattutto, voleva sfidare i militari, che si erano autoproclamati garanti della laicità turca, ma che erano anche diventati il più grande ostacolo alla vera democrazia. E ha avuto un’esperienza personale delle tendenze autoritarie del paese. Verso la fine degli anni Novanta, un giovane Tayyip Erdogan ottenne l’appoggio di Amnesty International quando fu condannato per aver letto un poema islamico. Al suo posto, ora c’è Erdogan il vendicativo, il paranoico. Viaggia dappertutto con un enorme corteo di automobili. Quello che una volta era il flagello dell’esercito, si è rifatto come comandante in capo. Alcuni turchi dicono che è una maledizione che affligge tutti i loro leader – che, una volta al potere, non possono non soccombere all’impulso autoritario.
L’adorazione della folla è troppo inebriante e il paese troppo grande e instabile per consentire alla democrazia di fare il suo corso. L’ultimo romanzo di Ahmet Altan, ‘Endgame’, racconta la storia di un’anonima città turca che si squaglia. Ci sono voci di grandi ricchezze sepolte sotto la collina e gli abitanti sono disposti a uccidere, imbrogliare e tradirsi a vicenda per mettere le mani su di esso. E’ difficile non tracciare paralleli”.
Il Foglio internazionale