La velleità di Macron sull'islam
Il presidente lo vuole “ristrutturare”, ma ci riuscirà con la burocrazia? Se lo chiede il City Journal (20/2)
Quando gli è stato chiesto se credeva in Dio, il presidente francese Emmanuel Macron ha risposto: ‘Bella domanda, complessa. Sicuramente credo in una qualche trascendenza. Non sono più certo di credere in Dio. Sì, credo nella trascendenza’”. Esordisce così, sul City Journal, un pezzo di Theodore Dalrymple, giornalista e scrittore.
“Un’altra bella domanda complessa cui deve rispondere è quella riguardante il rapporto tra la Repubblica francese e l’islam. La Francia è un paese di militanza laicista, il cui attivismo sembra diventare più forte con l’indebolirsi della chiesa. La Francia ripudia qualsiasi legame tra la religione e lo stato: in bocca a un intellettuale francese, le parole ‘très catho’ (molto cattolico) suonano più come un insulto che una descrizione. L’islam potrebbe costituire un’eccezione alla laicità francese e alla sua completa separazione tra stato e chiesa. Nel 2003 l’allora presidente Nicolas Sarkozy istituì il Consiglio francese della religione musulmana (Cfcm). Il Cfcm doveva rappresentare i musulmani francesi, anche se due terzi di questi non ne hanno mai sentito parlare. I delegati vengono eletti in proporzione alla superficie delle rispettive moschee. Si pensa che le elezioni siano influenzate dai vari paesi che finanziano le diverse moschee.
Macron vuole qualcosa di diverso. Vuole ‘strutturare’ l’islam francese, con l’idea di indebolire l’estremismo e le influenze estere. Si dice che gli stati nordafricani e del Golfo Persico finanzino circa 300 imam di Francia, oltre alla costruzione di nuove moschee (il che è illegale). Tuttavia, il finanziamento delle moschee è piuttosto opaco: non rendono pubblici i propri bilanci, nascondendosi dietro le norme finanziarie per le organizzazioni non a scopo di lucro, che sono molto meno stringenti di quelle per le organizzazioni religiose. Un consigliere musulmano del presidente Macron, Hakim El Karoui (che, come il presidente, un tempo lavorava per la Banca Rothschild), ritiene ci debba essere un Grand Imam di Francia, così come un’organizzazione che si preoccupi del finanziamento delle moschee e dell’istruzione, della formazione e del pagamento degli imam. Il tutto sotto l’egida dello stato. In altre parole, la Repubblica francese diverrebbe l’arbitro di ultima istanza della teologia islamica. El Karoui stesso, però, riconosce la futilità di questo tipo di sistema quando quando dice che ‘gli imam in tutto il mondo arabo sono addestrati dallo stato, e questo non ha impedito ai fondamentalisti di prosperare’. Tutto ciò, comunque, è profondamente lontano dall’idea di laicità. Il massimo che un’organizzazione statale può fare in questi casi è espandere la burocrazia, creare una schiera di portavoce ufficiali ben pagati che, visto il loro status di dipendenti pubblici, avranno poca o nulla legittimità tra le persone cui dovrebbero dar voce”.
Il Foglio internazionale