Harari, il guru della società fluida
Zemmour sul Figaro critica il filosofo più venduto al mondo
“Una medicina politicamente corretta che combini il globalismo e il culto delle minoranze”. Così Eric Zemmour definisce Yuval Harari, il filosofo più influente al mondo, come è stato definito, autore di bestseller mondiali, come “Sapiens”. “Lui è ovunque. È l’uomo con milioni di copie vendute, il pensatore più importante del XXI secolo! Il suo nome è Yuval Noah Harari, ma il suo nome, senza dubbio esotico, è molto meno conosciuto del titolo del libro che lo ha rivelato: ‘Sapiens’. Con questo tuffo nel passato dell’umanità, il nostro autore ha reso popolari e divulgati gli studi accademici sulla storiografia contemporanea che privilegia le ‘storie del mondo’, a scapito dei vecchi ‘romanzi nazionali’. Questa moda intellettuale non è arrivata per caso: è il prodotto di un’ideologia che fa parte dei campus californiani e conquista le università occidentali, da Parigi a Berlino, da Ottawa a Tel Aviv. Il mercato globale, unificato dal consenso liberale di Washington e dalla tecnologia di Internet.
È la necessità di una narrativa globale, come l’unificazione dei mercati nazionali nel Diciannovesimo secolo dalla ferrovia e il diritto dei popoli all’autodeterminazione aveva come corollario le grandi narrazioni nazionali da Michelet a Mommsen. Proudhon ci ha avvisato molto tempo fa: ‘Chi dice l’umanità, vuole ingannare’. Harari prende in giro le ‘storie’ nazionali e religiose senza rendersi conto che ha usato un’altra ‘storia’, quella delle minoranze, etniche, religiose, femministe e LGBT, che spadroneggiano nel corso degli anni nei popoli occidentali. Conosciamo il ritornello. C’è solo un’umanità e una civiltà. I nostri profeti umanitari non si preoccupano: la guerra di civiltà è un mito. Tutti gli uomini oggi hanno gli stessi medici e lo stesso dollaro. Deride le religioni e denuncia l’uomo bianco come un persecutore delle minoranze eternamente oppresse. Harari si comporta come qualsiasi studente oggi nei campus della California o del Canada: ci consegna la sua ‘identità’; non nasconde nulla dalla sua ebraicità o dalla sua omosessualità.
Come Voltaire, Harari ritiene che le religioni siano ridicole superstizioni, ‘false notizie’ credute per mille anni. Come Jacques Attali, giudica le nazioni superate come le tribù di un tempo. Per lui, come per tutte le nostre élite globalizzate, le persone devono fondersi in un grande magma globale. Come loro, Harari non tollera il risorgere delle nazioni e degli attaccamenti religiosi, di cui parla con disprezzo. Putin, Orbán e tutti gli altri sostenitori della ‘democrazia illiberale’ sono ricoperti dall’obbrobrio. Harari ritiene che gli uomini siano guidati unicamente dai loro sentimenti, e non dalla ragione; delegittima il suffragio universale, specialmente quando gli elettori osano votare per Brexit o Trump.
Esprime un esistenzialismo radicale: nessuna ‘essenza’ trova grazia nei suoi occhi, né nazionale, né religiosa, né sessuale. È l’intellettuale organico – uno tra tanti altri – della società ‘fluida’. Ha una visione economicistica del mondo. Eppure anche lui ha bisogno di spiritualità. E va a cercarla nelle meditazioni dei culti orientali. Per leggere le sue ultime pagine, ci si pensa negli anni Sessanta, quando i Beatles, al culmine della loro gloria, si lasciano guidare da qualche guru in esercizi di meditazione trascendentale. Almeno avevano la scusa della giovinezza e del talento”.
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