Il ritorno del realismo americano è naturale
Spesso gli ideali fanno più danni dei calcoli di interessi, secondo il Financial Times
“Diventare un ‘paese normale’ è il sogno di più di una repubblica”, ha scritto Janan Ganesh sul Financial Times. “Il mondo conosce abbastanza bene il caso della Germania. Avendo fatto ammenda per la guerra e messo l’Europa al primo posto, il passo successivo come nazione normale è perseguire i propri modesti fini nazionali senza imbarazzo. Vista la sua peculiarità, non possiamo dire che il progetto di Donald Trump sia quello di normalizzare il proprio paese. Per quanto possa essere scioccante, la sua politica estera è volta a questo: la restaurazione degli Stati Uniti a paese egoista tra paesi egoisti, anziché una governante stressata dal dover allattare tutto il mondo libero. Si tratta di realismo, più che di coerenza interna. E ben si confà alla condizioni esterne.
Guidare un ordine mondiale spinge una nazione al massimo delle proprie capacità. Questa è una descrizione migliore degli Stati Uniti nel 1948 che non nel 2018, figurarsi nel 2048. L’infedeltà di Trump al sistema post bellico è sconfortante, ma forse sta semplicemente facendo per scelta quel che i futuri presidente dovranno fare per necessità. La pax americana non fu mai uno stato naturale delle cose. È una fase nata da circostanze estreme. Gli Stati Uniti producevano circa un terzo del pil mondiale quando si inauguravano le istituzioni di Bretton Woods, resuscitava il Giappone e metteva al sicuro l’Europa. Dal momento che il loro potere assoluto rimaneva tanto grande, ci dimentichiamo del fatto che la loro posizione relativa cominciò subito a declinare. Oggi producono circa il 20 per cento del pil globale. Non c’è nessuna richiesta di isolamento.
Ve n’è piuttosto una di concentrarsi sugli interessi nazionali anziché sui valori. Trump è il primo (e quindi il peggiore) che cerca di soddisfare questa richiesta. Anche se il realismo in arrivo si rivela essere una correzione eccessiva, comunque una correzione andava fatta. Non molto tempo fa, George W. Bush descriveva la libertà come un ‘disegno di natura’ e Barack Obama poteva, con eguale nonchalance, dire che l’arco della storia è piegato verso la giustizia. L’arco della storia non è piegato verso niente. Ci sono cose per cui questi presidenti ci mancano molto (la loro personale classe, i loro ministri navigati), ma certo non per queste chiacchiere teleologiche.
Gli eventi del dopo guerra suggeriscono che gli ideali cacciano gli Stati Uniti nei guai molto più spesso di quanto non facciano i calcoli a freddo. Richard Nixon disse che un leader può, al massimo, ‘dare una gomitata alla storia’. Lui, o lei, non può alterare il corso della storia ma piuttosto accelerare un processo già in atto. Le tendenze strutturali del mondo richiedono che gli Stati Uniti, nel tempo, siano più concentrati su loro stessi. Ogni accordo stralciato e ogni tariffa imposta da Trump può essere letta come una gomitata verso quel destino: una scommessa per rendere l’America di nuovo normale. I suoi successori lo faranno meglio. Ma lo faranno”.
Il Foglio internazionale