“Le democrazie non sono in pericolo. E il 2018 non è affatto un nuovo 1933”
Il politologo danese Moller sull'American Interest ricorda quando le democrazie furono davvero sull’orlo del collasso e sfata i facili parallelismi
"Due anni fa, ho lasciato la Danimarca per vivere brevemente nel villaggio di Higham, nel Suffolk, parte di un soggiorno di ricerca presso l’Università di Essex”, scrive il politologo danese Jorgen Moller. “Higham è un’area protetta, situata nella pittoresca Dedham Vale, composta da vecchi casolari e fattorie e da un paio di case padronali. Higham ha anche una chiesa del XV secolo, St. Mary’s, dove passeggiavo quasi tutti i pomeriggi. La chiesa è stata rinnovata e chiusa al pubblico. Tuttavia, nel penultimo giorno del mio soggiorno, mi sono imbattuto in due addetti ai lavori e ho chiesto se potevo entrare. All’interno la mia attenzione fu catturata da una vetrata che, sotto l’immagine di Riccardo Cuor di Leone, elencava i sei uomini di Higham caduti nella Grande guerra del 1914-18. Higham oggi ha meno di 200 abitanti. Non ci sono negozi, nemmeno il pub tipico del villaggio inglese. Non so quanti abitanti avesse Higham cento anni fa, ma quelle sei vittime di guerra devono aver costituito una percentuale non banale della popolazione maschile adulta. Guidando nei paraggi, nel Suffolk e nell’Essex, ho visto che ogni villaggio ha il suo memoriale, normalmente sotto forma di monumenti di pietra nel cimitero o nella piazza della città. Essi documentano tassi di mortalità simili e mostrano che diversi membri della stessa famiglia erano spesso tra le vittime della guerra. Naturalmente, troviamo memoriali della Grande guerra sparsi in paesi dell’Europa continentale come Germania e Francia, che hanno versato ancora più sangue durante gli anni tra il 1914 e il 1918. I memoriali ci ricordano quanto sia stata distruttiva questa prima guerra pienamente industrializzata per le comunità locali di tutto il mondo. E’ trascorso un secolo da quando i combattimenti si sono conclusi nel novembre del 1918. Ma i due decenni dopo i combattimenti non sono stati in perfetto equilibrio per i vecchi combattenti europei".
"La massiccia dislocazione e il trauma psicologico collettivo si riversarono presto nelle fauci della Grande depressione, da cui scaturì in gran parte il vortice politico che diede origine alla seconda Grande guerra – o meglio forse, la seconda parte dell’unica Grande guerra. Non sorprende, quindi, che sulla scia di molti libri recenti sulla Prima guerra mondiale possiamo ora notare una serie di libri ancora più recenti che hanno rivisitato il periodo tra le due guerre, per comprendere le sfide che affrontano le democrazie di oggi. Hanno almeno due altre cose in comune. Innanzitutto, emettono severi moniti che persino le democrazie consolidate nell’Europa occidentale e nel Nord America affrontano gravi pericoli a causa dell’ascesa del populismo dalla Grande recessione iniziata nel 2008. In secondo luogo, si rivolgono alla storia in generale e al periodo tra le due guerre in particolare per i paralleli, e usano questi paralleli per sostenere che le democrazie attuali sono più fragili di quanto ci piace credere. E forse hanno una terza caratteristica in comune: fanno analogie storiche che sono principalmente false. E’ qui che mi è venuto in mente il memoriale di Higham. Nel 1919, il Regno Unito dovette tornare alla normalità politica in una situazione in cui centinaia di migliaia di figli, fratelli e padri erano morti nelle trincee. A peggiorare le cose, il trauma bellico era solo una delle tante calamità. La dislocazione economica che seguì allo smantellamento dell’economia di guerra creò un grave crollo nel dopoguerra, lo sciopero generale del 1926 fu visto come una situazione quasi rivoluzionaria, almeno nei media, e nel 1929 la Grande depressione colpì l’economia industriale britannica. Una delle ripercussioni politiche fu la divisione del governo laburista sulla politica di crisi nel 1931. Se le democrazie sono intrinsecamente fragili, l’Inghilterra tra le due guerre sarebbe stata un buon candidato per il crollo democratico. Ma non accadde nulla del genere. Al contrario, la democrazia britannica si è dimostrata straordinariamente stabile tra le due guerre mondiali. I laburisti sostituirono i liberali come principale partito di centrosinistra e si insediarono pacificamente nel 1924 e nel 1929, mentre i conservatori si trasformarono in un ampio partito che chiuse ai movimenti estremisti come l’Unione britannica dei fascisti di Oswald Mosley. Ma il nocciolo della questione è che la Gran Bretagna è solo una delle tante democrazie che sono rimaste straordinariamente stabili per un periodo molto lungo. Gli Stati Uniti sono una democrazia dal 1776, il Regno Unito dal 1832, il Canada dal 1867, l’Australia dal 1901, e la Nuova Zelanda dal 1907. Per quanto riguarda l’Europa, se ignoriamo i crolli democratici avvenuti a causa delle occupazioni tedesche sotto le due guerre mondiali, il Belgio è stato continuamente democratico dal 1830, Paesi Bassi e Svizzera dal 1848, la Francia dal 1870, la Norvegia dal 1884, la Danimarca dal 1901, e la Svezia dal 1917. E’ il terribile destino della democrazia in paesi come l’Italia e la Germania negli anni 20 e 30 che è sotto accusa".
"Un voluminoso corpo di ricerca ha dimostrato che le nuove democrazie sono fragili, specialmente se sono povere e soprattutto se sono colpite dalla crisi economica prima che possano formarsi istituzioni e azioni di sostegno reciproco alla democrazia (…). La vetrata nella chiesa di St. Mary a Higham funge da promemoria della resilienza democratica. Mostra anche perché ogni tentativo di fare analogie con il periodo tra le due guerre è vulnerabile all’obiezione che il contesto di oggi è un altro. E’ difficile immaginare una situazione più radicalmente diversa dalle circostanze in cui i sei uomini di Higham sono stati commemorati rispetto a quella attuale. I partiti populisti che stanno facendo progressi in molte democrazie occidentali sono diversi dai partiti ‘anti sistema’ degli anni tra le due guerre, che denunciavano apertamente la democrazia e le cui milizie combattevano fino alla morte nelle strade. In effetti, non ci sono partiti di rilievo in nessuna delle democrazie occidentali che mirano a introdurre un sistema alternativo a quello democratico, come abbiamo visto negli anni 70 e 80. Questo non è il 1919, il 1929 o il 1933. A prescindere dalle sfide che affrontano oggi le nostre democrazie, esse differiscono fondamentalmente da quelle del periodo tra le due guerre”.
Il Foglio internazionale