Un Foglio internazionale
Il Giappone prova il riequilibrio demografico
Pubblichiamo un estratto dell’intervento che Ryuichi Tanaka, professore di Economia, all’Università di Tokyo, terrà oggi al seminario della Luiss
All’inizio del 2021 si calcola che ci fossero 125,5 milioni di giapponesi, in significativo calo dal picco di 128 milioni raggiunto nel 2010. (…) Per evitare gli scenari demografici più nefasti, il governo giapponese ha messo in atto una serie di politiche tese a mitigare gli effetti del cambiamento demografico. Il primo insieme di politiche, fin dal 1990, è consistito in misure pro natalità per favorire le nascite riducendo i costi associati alla nascita di un figlio. Da qui una lunga serie di piani di sostegno economico: Angel Plan (1994-1999), New Angel Plan (1999-2004), Childbearing Support Plan (2005-2009) e altri. Con questi piani, il governo ha tentato di aumentare l’offerta di servizi per l’infanzia attraverso forme di sussidio.
Un altro insieme di politiche ha avuto l’obiettivo di accrescere la partecipazione femminile al mercato del lavoro. Oltre al sostegno finanziario alle donne in gravidanza, Tokyo ha messo in atto misure per un maggiore equilibrio tra vita priva e vita lavorativa, coinvolgendo di più anche i padri nell’accudimento dei figli. Un passo in questa direzione è stato compiuto con una norma che impone alle aziende con oltre 100 dipendenti di pianificare, monitorare e rendere pubblica la situazione degli scatti di carriera delle donne dipendenti. Grazie a tutte queste misure, effettivamente, la partecipazione delle donne al mercato del lavoro è aumentata significativamente. La cosiddetta “Womenomics” ha ridotto i gap salariali e di opportunità di lavoro tra uomini e donne. I risultati ci sono stati. Secondo i dati Eurostat, in Italia nel 2005 lavoravano 48,5 donne ogni 100 di età compresa fra i 20 e i 64 anni, mentre nel 2019 si è arrivati a 53,8. Nello stesso arco di tempo, il Giappone è passato da 61,7 donne al lavoro su 100 in quella fascia d’età a 75 donne su 100. Negli ultimi due decenni, in particolare, è aumentata la partecipazione al mercato del lavoro nella fascia d’età 30-49 anni. Non si osserva più, dunque, quella tipica “curva a M” nel grafico sulla partecipazione femminile al mercato del lavoro dovuta in passato all’abbandono del proprio impiego da parte di molte donne che diventavano madri.
L’età pensionabile, che era fissata a 60 anni fino all’anno 2000, è adesso pari a 65 anni nelle grandi imprese. L’età pensionabile media in Giappone oggi è più alta rispetto a paesi come l’Italia. L’immigrazione, infine, sarebbe un’altra opzione per mitigare nel breve termine gli effetti del declino demografico in un contesto globale. In Giappone però la politica dell’immigrazione è ancora molto restrittiva. Eppure settori come l’agricoltura, le costruzioni e i servizi, colpiti da una forte carenza di manodopera, già fanno affidamento a una quota significativa di lavoratori stranieri. Una discussione seria sul tema è quanto mai necessaria. Infine c’è il tema della formazione, da rendere adeguata alle nuove sfide del lavoro e continuativa durante la vita lavorativa dei giapponesi, in modo da aumentare la produttività di una popolazione a parità di dimensione della stessa. Si tratta di una politica pubblica promettente ma che ha implicazioni e costi che ancora necessitano di valutazioni più approfondite.
Il Foglio internazionale