Riconoscere la Palestina? Leggete prima lo statuto di Hamas

Redazione

    Al direttore - Apprezzo, condivido e ammiro la ventennale battaglia per denunciare e combattere l’ipocrisia e la colpevole reticenza del politicamente corretto. E dunque non posso che associarmi all’accorata speranza di Giulio Meotti affinché il presidente Renzi non decida di gettare Israele “in pasto ai suoi nemici”, ovvero “al mondo arabo-islamico” con il riconoscimento dello stato della Palestina. “L’Italia non assecondi questa vergogna”, invoca l’acuto e sempre ben documentato Meotti, il quale certamente però ben sa che questa che lui giustamente denuncia come vergogna è già stata assecondata da diversi interlocutori attraverso la voce dell’ex ministro degli esteri italiano e attuale Alto commissario per gli affari esteri della Ue onorevole Mogherini, la quale nella recente visita a Gaza ha non soltanto riconosciuto ai suoi ospiti di Hamas lo status di “ministri”, ma ha ufficialmente dichiarato: “Ci vuole uno stato palestinese, questo è l’obiettivo”.
    Gianfranco Trombetta

     

    Il riconoscimento dello stato palestinese ha un senso se viene negoziato con Israele e non se viene imposto dall’alto. Chi lo vuole imporre con giochi parlamentari lo farà forse anche in buona fede ma partecipa a una partita pericolosa: la stessa di chi prova ogni giorno a cancellare dal mappamondo le ragioni di Israele. E prima di dare pieno riconoscimento a uno stato guidato anche da un gruppo terroristico di nome Hamas che prevede nel suo statuto la cancellazione dello stato di Israele, io qualche domanda me la farei.

     

    Al direttore - Il 22 febbraio il governo presieduto da Matteo Renzi compie un anno. E’ vero: balza agli occhi l’eccessivo ricorso al voto di fiducia. Alcuni impegni governativi non sono andati a buon fine. Altri sono in attesa di levigatura. La disoccupazione alle stelle, l’economia tartaruga, la Pubblica amministrazione farraginosa, pensioni d’oro, per dirne alcune. E’ in calo anche la fiducia. Tuttavia qualche segnale di ripresa c’è. Dopo tanti anni di crisi e di recessione, timidi avvisi di rilancio trasmettono ottimismo.
    Rimettere in piedi una carcassa non è facile per nessuno. Nel giudizio occorre valutare non solo gli obiettivi raggiunti e quelli falliti, ma anche le difficoltà evidenti dalle quali s’inizia una legislatura.

    Fabio Sicari

     

    Paginone fogliante sui primi dodici mesi del governo nell’inserto I: diciamo tutto lì.

     

    Al direttore - Mi chiedo perché gli italiani si vergognino di pronunciare i termini “guerra”, “forza”, “armi”?! E’ dovuto forse al fatto che dopo la sconfitta della Seconda guerra mondiale siamo diventati troppo buoni?o troppo delusi e insicuri di noi stessi? Esiste ancora in Italia un minimo di nazionalismo e amore per la patria, oppure è scomparso del tutto lasciando il posto a una “divinizzazione” degli stati con più potere economico e militare?! Oltre ad essere mummificata la politica, adesso tocca all’economia e poi alla popolazione, procedendo così verso un declino inesorabile dell’individualità, nonché continuando ad essere ruote di scorta su scala mondiale… tutti vittime del solito ingenuo “buonismo” e finto patriottismo.
    Francesco Pasquini

     

    Per capire la natura della difficoltà con cui il nostro paese pronuncia la parola guerra le basti pensare a cosa sarebbe successo se Clint Eastwood avesse girato “Italian Sniper” al posto di “American Sniper”. Ci pensi.

     

    Al direttore - Provo a riassumere l’odierno resoconto di Daniele Raineri, come sempre articolato e preciso: tutti allineati e coperti sulla posizione di impegno minimale, che meno non si può, di aspettare che Bernardino León metta insieme il diavolo e l’acqua santa, fingendo di ignorare che non pochi osservatori hanno già nelle settimane scorse dato la missione per fallita. Nell’attesa, noi ventre molle dell’Europa che si fa? Mentre neppure l’impeccabile Manconi credo ormai si senta di garantire che in mezzo ai rifugiati non si mescolino terroristi freschi di massacri, continuiamo a collaborare con le milizie dello Stato islamico nei trasbordi sotto costa, gommoni a rendere?
    Giorgio Polignieri

     

    La strategia del governo e dell’Italia mi pare chiara: sostegno a Sisi pieno e totale, mediazioni diplomatiche per ricomporre la frattura tra i due governi della Libia e infine, in prossimità dell’estate, intervento di contenimento, di difesa, pronto a diventare intervento di attacco. Prudenza. Per ora va bene così. Per ora.