Pasolini e il cinema: bravo Muccino. Appunti sharing su Airbnb

Redazione

    Al direttore - “Se i trentenni non leggono Pasolini un motivo ci sarà”, dice Salvatore Merlo. Come dargli torto? Premesso che non ho ancora compiuto il trentesimo anno d’età (non sia mai che si pensi il contrario), provo a calarmi nei panni di un trentenne italiano. Che da circa quattro decenni, con cadenza annuale, è investito dall’esaltante dibattito su quanto immenso e incompreso fosse il genio pasoliniano. Non spetta a me giudicare l’estro artistico (leggo di autorevoli registi che lo definiscono “amatoriale e senza stile”, ne risponderanno davanti a Dio). Per un aspirante regista Pasolini rimane un passaggio obbligato, questione di formazione e conoscenza. Ma da umile spettatrice quale sono, senza aspirazioni cinematografiche, posso dire che i film di Pasolini li ho visti e, salvo rare eccezioni, mi hanno annoiato. I libri di Pasolini li ho letti, e li ho apprezzati più del resto. A noi trentenni o quasi tali Pasolini dice assai poco perché era un antimodernista, e noi cavalchiamo la modernità. Se fosse ancora vivo, saremmo il bersaglio dei suoi anatemi, come negli anni Sessanta lo erano consumisti e capitalisti (pur essendo lui avvezzo alla bella vita, amante delle belle cose, automobili e pregiata sartoria incluse). Pasolini disdegnava la tv pur posando spesso in favore di telecamera. Furoreggiava contro il consumismo corruttore dei costumi pur consumando lui, allegramente, giovani ragazzi di borgata. A noi trentenni cresciuti con il frigorifero pieno e senza sensi di colpa, che ci abbandoniamo, spensierati, a “X Factor” e a Sky, ansiosi del prossimo abbonamento Netflix, Pasolini dice ben poco. Anzi nulla.
    Annalisa Chirico

     

    Al direttore - La letteratura si sceglie. Un autore è come il compagno di banco, come l’amato con cui condividere la vita. La sua lettura è assorbimento viscerale che ne facciamo come l’omogeneizzato della prima infanzia: diventa il nostro corpo. Ragionare sulla scelta di leggere o meno Pasolini, come obiezione delle generazioni più anziane di quelle dei trentenni o come malessere esternato da un coetaneo, è un po’ come l’incerto mal di testa dopo una lunga dormita: non si sa se prendere una pillolina. Pasolini merita, dopo la pantomima della memoria fatta tra giornali e tv, di essere dimenticato come scandalo e di esser messo tra i grandi artisti del Novecento. Senza omicidi morali. E’ diventato ormai un esercizio di stile questo citare, ricordare, leggere Pasolini. Forse non viene capito né da chi lo ricorda con nostalgia né da chi se n’è fatto un’idea soltanto vaga. Su questi ultimi il giudizio son spallucce arrese; sui primi il giudizio è cattivo. Spietato è invece nei confronti di quelli che non ricordano che Pasolini è un autore europeo, amato molto in Francia, ad esempio. Nemo propheta in patria. E la ragione per cui i francesi ancora ne leggono l’opera, senza preoccuparsi delle generazioni, è l’aver colto quella ricchezza che non viene limitata al tempo in cui Pasolini scrisse, ma viene ricondotta alle sue fonti, alla sua mediterraneità, alle tracce greche, romane, della bassa Europa che nei suoi testi diventano argomenti addirittura trattati nel mondo giuridico, tra Francia e Italia.
    Serena Minnella

     

    Ha scritto ieri Gabriele Muccino: “Ho sempre pensato che Pasolini regista fosse fuori posto, anzi semplicemente un non regista che usava la macchina da presa in modo amatoriale, senza stile, senza un punto di vista meramente cinematografico sulle cose che raccontava”. Io però, su Pasolini, sto, oltre che con il nostro Merlo, con l’autorevole regista citato da Annalisa Chirico.

     

    Al direttore - Stupisce un poco leggere, sul Foglio poi, del “lato oscuro” della sharing economy. A quanto è dato di capire, il lato oscuro della sharing economy consisterebbe in questo: dal momento che i proprietari di immobili hanno ora a disposizione una possibilità in più, cioè affittare a breve termine, il prezzo degli affitti a lungo termine è salito. Di per sé, la cosa non sorprende più di tanto. Affittare un appartamento comporta tutta una serie di rischi che sono assai più modesti, quando l’inquilino si ferma solo una settimana. Questa opzione, fino all’arrivo di Airbnb e Homeaway, semplicemente non era disponibile. Ora che i proprietari di immobili cominciano a prenderne consapevolezza, si fanno i propri conti e i prezzi subiscono un aggiustamento. Sono prezzi “sbagliati”, artificialmente elevati? Si metta mano, e sarebbe ora, al groviglio di regolamentazioni, spesso direttamente o indirettamente lesive dei diritti di proprietà, che governano il mercato immobiliare a San Francisco e altrove. Le alternative paiono, quelle sì, gravide di oscuri presagi. I blocchi dei fitti hanno sempre promesso “alloggi a buon mercato”, come effetto ne hanno di solito ridotto l’offerta. Né sembra più saggio moltiplicare le regole per esaltare le velleità spionistiche dei vicini di casa, come proponeva la “Proposition F” che a San Francisco è stata saggiamente respinta dagli elettori.
    Alberto Mingardi