Cercasi tweet del popolo arcobaleno su Rohani e i gay impiccati in Iran

Redazione

    Al direttore - Quando Thorvald Stauning, primo ministro danese con i nazisti alle porte,  chiese a Re Cristiano X di Danimarca: “Cosa faremo, Vostra Maestà, se anche i nostri ebrei dovessero indossare la stella gialla?”, il Re rispose: “Allora probabilmente la indosseremo tutti”.
    Oggi non ci sono i nazisti alle porte, ma nella Giornata della memoria non possiamo fingere che non ci sia una minaccia altrettanto incombente che ci riguarda tutti: quella del fondamentalismo islamico.
    Se in un passato non troppo remoto si imponeva agli ebrei di indossare una stella gialla, in un presente non troppo compreso, i fondamentalisti del terrore vorrebbero imporre ai nostri concittadini ebrei la paura di indossare la kippah, la paura di essere ebrei.
    Negli ultimi anni politica e società civile hanno lavorato assieme per far sì che la memoria storica fosse un potente anticorpo contro qualsiasi forma di discriminazione e antisemitismo. Le testimonianze dei sopravvissuti all’orrore dei campi di sterminio, le Giornate e i viaggi della Memoria, i momenti di riflessione e dibattito, hanno sicuramente contribuito a far sì che questo anticorpo si sviluppasse nell’organismo del nostro corpo sociale.
    Oggi, però, dopo i vili attentati di Marsiglia, Parigi, Tolosa, Bruxelles, Tel Aviv, Otniel, Gerusalemme e di Milano abbiamo il dovere di chiedere ai nostri anticorpi di reagire. Abbiamo il dovere di dimostrare che il nostro amore per la vita e per la diversità nell’uguaglianza è più forte della loro brama di terrore e di morte. Abbiamo il dovere di capire e far capire che non siamo disposti a tollerare alcuna ambiguità circa il fatto che quasi sempre dietro un antisionismo di facciata si nasconde un antisemitismo di sostanza. Se la memoria è una facoltà attiva oltre che passiva, di fronte a questo insieme di minacce non posso che essere convinto dell’importanza di un’iniziativa come quella lanciata dal Suo giornale.
    Indossare una kippah nel Giorno della Memoria vuol dire reagire a chi ci vorrebbe divisi e impauriti. Indossare una kippah in questo particolare Giorno della Memoria, vuol dire mandare un messaggio chiaro ed inequivocabile: nella difesa della nostra civiltà e delle nostre libertà non solo siamo tutti Charlie, ma siamo tutti Marsiglia, Tel Aviv, Parigi, Tolosa, Bruxelles, Gerusalemme e Milano.
    La Danimarca durante la Seconda guerra mondiale fece la sua parte. Ieri, a tutti noi, è stata data la possibilità di fare la nostra.

    Vito Kahlun

     

    Al direttore - Un giorno si manifesta per i diritti dei gay. Poche ore dopo si nascondono le statue nude agli occhi del presidente iraniano. Se non si trattasse di cose serie ci sarebbe quasi da ridere.
    Lucia Marinovich

     

    Se non ci fosse da piangere ci sarebbe da ridere a osservare la capacità improvvisa con cui il popolo arcobaleno si trasforma in una statua quando si tratta di denunciare la violazione dei diritti degli omosessuali nel mondo islamico. Molti tweet su Sarri e sul Pirellone, zero tweet, del popolo arcobaleno, su tutti i Rohani che nei loro paesi impiccano i gay. Chissà perché.

     

    Al direttore - Davide Serra – combattivo come ai tempi delle battaglie su Generali – torna, sul suo giornale, sul luogo del delitto. Il rapporto tra la società di Trieste, la governance e il mercato. Il punto che fa Serra è giusto, come lo era nella primavera del 2008 (come eravamo giovani…). Rispetto al 2008 c’è un elemento in più di preoccupazione per il nostro paese. La fuga di tanti talenti da corporate Italia. Chi può va via.
    La nomina del nuovo Ceo di Generali proprio per la visibilità che avrà sui mercati internazionali, basta seguire il Financial Times in questi giorni, deve essere un nuovo inizio. In Generali bisogna scegliere un Ceo capace, indipendente e lasciarlo lavorare in pace. Un nuovo(a) Ceo internazionale, magari quarantenne, sarebbe un bel colpo per Generali e per corporate Italia. Le vecchie logiche fanno scappare a gambe levate non solo i talenti, ma anche i capitali.  

    Andrea Tavecchio