Mercato e capitalismo. Adelante mano invisibile, cum juicio

Redazione

    Al direttore - Renzi bachetta i sindacati perché dicono che quelli della Reggia lavorano troppo. Scusate, ‘ste brioches a chi le do?
    Giuseppe De Filippi

     

    Al direttore - Scusi se torno sull’argomento, ma la nonchalance con cui si scrive di questioni gravi e serie è rivelativa, come direbbe il vecchio Simeone, dei “pensieri segreti del cuore di molti”. Sul Corriere di ieri c’è un istruttivo pezzo sulla “clinica del caso Vendola”. Io già mi ero chiesto: ma se la madre surrogata decidesse, in base a un suo proclamato “diritto”, di abortire, che succede? E’ tutto previsto dal contratto, mi ha risposto un amico più informato. Ma il “contratto”, scrive en passant il Corriere oggi, prevede anche il caso opposto, se il committente cioè “richiede l’aborto in caso di malformazioni o una eventuale riduzione fetale”. Buttata lì, così, tra altre clausole come l’età, la razza, l’orientamento sessuale (che gli frega dell’orientamento sessuale?), gli studi…. Singolare questa trasmigrazione del “diritto” di aborto da scelta drammatica della donna nella sua autodeterminazione (non vincolata al consenso del partner) alla determinazione del committente. Mi si obietterà: ma lei firma un contratto! Omettendo di aggiungere: e io pago! Appunto, diritti.
    Ubaldo Casotto

     

    Al direttore - Nell’efficace sintesi che la Ciliegia ha fatto del rimescolamento del capitalismo italiano (Il Foglio del 4 marzo), che diventa sempre più di mercato e sempre meno di relazione, vi sono tesi condivisibili e altre che meriterebbero discussioni e approfondimenti, ivi inclusa quest’ultima espressione relativa alla “relazione”. Ma, ammesso che si convenga su questa evoluzione, occorre rilevare che il mercato non si è, invece, nel frattempo evoluto per l’inadeguatezza delle regole che lo vedono parte del più grande mercato europeo e globale; che i “fondi”, pur rappresentando una novità importante, non sono la soluzione dei problemi degli assetti societari considerata la loro prospettiva di investimento non di lungo periodo; che, scomparsi i salotti buoni, restano gli intrecci azionari e i conflitti di interesse nonché la diffusione di parti correlate, ma anche le relazioni improprie con il mondo della politica. Tutto oggi andrebbe guardato almeno nella dimensione europea, nella quale il capitalismo italiano continua ad apparire asfittico, mentre manca una regolamentazione unitaria a livello comunitario. Non si negano i passi avanti; ma si è nella situazione in cui non si è più, ma al tempo stesso non si è ancora. Non c’è più Cuccia e il suo spirito, ma non c’è neppure ciò la cui assenza aveva motivato e legittimato il ruolo di Cuccia. Il governo come salotto buono del capitalismo, con gli stessi schemi dei vecchi salotti buoni, sarebbe anacronistico e perdente. Probabilmente ripercorrerebbe i metodi lottizzatori e spartitori. Altra cosa sarebbe se prendesse la bandiera dell’innovazione, del rafforzamento e delle regole in un più ampio scenario. Con i più cordiali saluti.
    Angelo De Mattia

     

    Si dice spesso che un governo debba occuparsi solo di “regole” e che di conseguenza debba disinteressarsi delle “dinamiche di mercato”. Il governo fa il governo. Il mercato fa il mercato. In linea di massima è un ragionamento lineare. Liberale, persino. Ma poi tocca chiedersi se i governi e i paesi davvero liberali, di fronte al rimescolamento dei mercati, osservano o no in silenzio la mano invisibile dell’economia. Lo fanno? Non sempre. Dipende. Nel 2014, Pfizer, colosso farmaceutico americano, provò ad acquisire AstraZeneca, azienda rivale anglo-svedese. Cosa fece Cameron? Disse: “Non sono soddisfatto dall’offerta. Vogliamo che ai benefici fiscali corrispondano investimenti, lavoro e ricerca”. Cosa scrisse il Financial Times? L’offerta non va bene, in ballo c’è “l’interesse nazionale”. Dunque adelante mano invisibile, cum juicio.

     

    Al direttore - Ho letto il programma elettorale di Stefano Fassina. Tra le altre, ho trovato magnifica questa proposta: “Incontro tra tessuto accademico cittadino e imprese di servizi innovativi e hi-tech, spazi per i co-working e i fab-lab, servizi di sostegno alle start-up…”. Ho solo un dubbio: vuole fare il sindaco a Roma o nella Silicon Valley?
    Michele Magno