Gli intellettuali e l'islam (che spasso). Virginia, chiama esercito!

Redazione

    Al direttore - Turchia sempre più lontana dall’Europa. La lira, poi, ce l’hanno già.
    Giuseppe De Filippi

     

    Al direttore - Quando bisognava stare con gli Americani stavano coi russi, l’economia cresceva e sognavano Mao, si doveva  fare il tifo con le trombe per Orwell ma  tifavano Sartre, alla democrazia di Israele preferivano e preferiscono Hamas, vedono con limpidezza la correlazione tra un terremoto in Nepal e il neoliberismo ma non tra chi ci sgozza in nome del Corano e la religione. Dalla parte del torto non ci si sono solo seduti, c’hanno edificato i grattacieli e oggi lo stupore degli editorialisti per “gli intellettuali di sinistra che si rifiutano di dire che tutto questo abbia a che fare con l’islam” non si capisce. Sono di una coerenza esemplare e alla fine pure utili, basta fare il contrario di quello che dicono e siamo già un pezzo avanti.
    Andrea Minuz

     

    Al direttore - La vicenda del fallito golpe turco presenta ogni giorno di più aspetti inquietanti e pericolosi. Inquietanti per la democrazia turca che da Atatürk in poi ha rappresentato un caposaldo fondamentale, in particolare con la sua alleanza con l’occidente per la democrazia politica nel medioriente da sempre in ebollizione sul piano politico, etnico e religioso. Pericolosi, invece, per i contraccolpi che esso può determinare nell’equilibrio di quella zona del pianeta che è stata fibrillata dagli errori degli inglesi, e a seguire, dagli Usa ma anche da quelli dell’Europa che 25 anni fa con Khol, Mitterrand e Andreotti impedì dopo l’invasione del Kuwait da parte dell’Iraq la cacciata di Saddam Hussein. Questa delicata situazione impone all’Europa e agli Usa calma e determinazione. La calma dinanzi a provocazioni che da qualche giorno crescono sia sul piano verbale che su quello dei comportamenti come la perquisizione effettuata nella base Nato di Incirlik in Turchia. Non accettare provocazioni, però, non significa mancanza di fermezza. Ad esempio il segretario generale della Nato non può rimanere in silenzio dinanzi alla interruzione della corrente elettrica in una base Nato e subito dopo la sua perquisizione da parte di uno stato membro dell’alleanza. Bene ha fatto la Merkel, invece, ad avvertire il nuovo sultano della Turchia che l’eventuale reintroduzione della pena di morte bloccherebbe automaticamente ogni negoziato con l’Europa facendo così tesoro della tragica storia del passato a cominciare dal menzognero patto di Monaco del 1938 tra Germania, Francia, Italia e Gran Bretagna che avrebbe dovuto bloccare i venti di una guerra che solo 12 mesi dopo è puntualmente scoppiata con tutto il suo bagaglio di morte e di devastazione. E’ tempo che anche il Consiglio di sicurezza dell’Onu non stia a guardare e che vincoli per la prima volta, in termini precauzionali, tutti i membri a una iniziativa di pace nel medio oriente onde evitare tentazioni opportunistiche che spesso non si avvedono delle tragiche conseguenze nel perseguire interessi personali e territoriali. Alla stessa maniera va intrapresa un’attività diplomatica per mettere le necessarie basi per una conferenza di pace sul medio oriente che accanto al Consiglio di sicurezza dell’Onu coinvolga i protagonisti di quella turbolenta area tra cui l’Iran, l’Arabia Saudita e naturalmente la Turchia. Questa intensa attività diplomatica va accompagnata, però, con la fermezza di cui si parlava prima bacchettando anche formalmente ogni iniziativa al di sopra delle righe di Erdogan perché capisca che non è il sultano del suo paese e men che meno di una intera zona ma solo un leader democraticamente eletto e presente con il suo popolo in una alleanza come quella della Nato che impone diritti e doveri e che pertanto non potranno mai essere tollerate politiche espansive neo ottomane.
    Paolo Cirino Pomicino

     

    Al direttore - Cara Virginia, mi ha fatto piacere incontrarla qualche sera fa, in occasione del compleanno di Lino Banfi, e nei pochi minuti in cui abbiamo scambiato qualche parola ho colto la volontà e l’energia che sta mettendo nella sfida che ha di fronte. Penso che lei abbia le potenzialità per essere un buon sindaco. Quella che la attende è una sfida enorme e avrà bisogno del supporto di tutti i cittadini;  tuttavia temo che la situazione sia arrivata a un punto di tale degrado da richiedere interventi straordinari, perché anche una, pur buona e corretta, amministrazione non basta più. Partendo dal presupposto che siamo in un’emergenza, mi permetto di suggerirle un’idea che possa permetterle di “mettere in sicurezza” Roma, mentre la nuova amministrazione da lei guidata proverà a tracciare una nuova rotta: aprire un dialogo con il governo e in particolare col ministero della Difesa per arrivare a servirsi dell’unica risorsa efficiente e preparata a disposizione in ogni momento, cioè le Forze armate, che hanno anche il vantaggio di essere una risorsa che non richiede spese aggiuntive al bilancio comunale in quanto è già pagata dallo stato. Chi meglio di loro potrebbe affiancarla nell’impresa di riportare Roma a una normalità? Un contingente di circa 10 mila uomini dell’esercito con i relativi supporti logistici (che verrebbe attivato legittimamente in quanto siamo in presenza di una vera e propria emergenza pubblica a Roma) potrebbero dare una risposta rapida ed efficiente alle situazioni più gravi di degrado, con la fermezza e l’intelligenza che hanno dimostrato ovunque siano stati chiamati in causa. Tutto questo non in un’ottica di militarizzazione della città, ma per ripristinare il decoro e la vivibilità che sono stati gravemente compromessi ovunque, senza distinzioni tra centro e periferia. Riportare il decoro nella città significa rendere fruibili il Lungotevere tra Piazza del Popolo e Castel Sant’Angelo, ora trasformato in una discarica, oppure intervenire rapidamente sulle buche che rendono strade e marciapiedi campi minati oppure ripulire strade e piazze dai rifiuti che attirano i topi ovunque, anche nei  palazzi storici del centro. Per evitare che una città percorsa da soldati in mimetica dia l’idea di trovarsi in stato d’assedio si potrebbe intervenire a livello di immagine vestendo i soldati con uniformi neutre, bianche, in modo da trasmettere un senso di vicinanza alla popolazione e agli ospiti di Roma. Questo pacifico esercito in bianco diventerebbe anche visivamente il simbolo di una rinascita di Roma, sarebbero i nuovi angeli custodi della città. Se all’esercito potrebbe essere demandato questo importante compito “anti-degrado”, maggiori risorse andrebbero invece indirizzate alle forze dell’ordine, polizia, carabinieri, municipale, per aumentare la sicurezza e il controllo del territorio. I vantaggi nell’utilizzo dell’esercito sarebbero molteplici: potrebbe essere attivato in tempi rapidissimi, senza intoppi e pastoie burocratiche, in modo da rispondere subito alle situazioni più gravi, e inoltre, essendo le Forze armate esterne a quel tessuto politico e clientelare che tanto danno ha fatto alla città, sarebbero esenti dal rischio di rimanere invischiati in quella tela di interessi e favori che purtroppo hanno caratterizzato Roma negli ultimi dieci anni. E mentre l’esercito aiuterà Roma a combattere il degrado, capillarmente, strada per strada, lei potrà pensare a progettare una nuova Roma. Nella speranza che lei ce la possa fare, le assicuro che noi saremo al suo fianco. Buon lavoro.
    Pietro Valsecchi

    Caro Valsecchi, lo capisco lo spirito – Virginia, chiama esercito! – ma sono sicuro che i super poteri della Raggi le permetteranno di fare quello per cui è stata eletta: rendere più efficiente la città. L’esercito usiamolo per cose più serie. Contro i ratti non ho dubbi che i Cinque stelle ci faranno sognare.