L'islam moderato non si difende negando la guerra di religione

Redazione

    Al direttore - Sigonella… Aridatece la Prima Repubblica…
    Frank Cimini

     

     

    Al direttore - Se ho ben capito, la lottizzazione partitica va bene quando ti nomina direttore del tg Rai, mentre suscita indignazione quando ti licenzia.
    Annalisa Chirico

     

     

    Al direttore - La domanda di inizio agosto è: il cristianesimo, caro direttore, può fare a meno della teologia politica? Sembrerebbe di sì, stando all’esegesi degli interventi ultimi del Pontefice regnante. Sembrerebbe di no, stando all’esegesi degli interventi meno recenti del Pontefice emerito. La faccenda non sorprende più di tanto, è bene tuttavia chiarirla. La posizione dell’europeo Ratzinger scaturisce da un confronto culturale che ha visto la Germania come campo di battaglia dall’inizio del secolo scorso. Lo dico in soldoni. A differenza di Bergoglio, Ratzinger vede nel cristianesimo la sintesi eccellente di fede e razionalità greca. Operazione estranea alla tradizione islamica. Se i libri di Rémi Brague sono insostituibili per capire l’influsso della romanitas sulla cristianità occidentale, altrettanto dicasi per i lavori di Ulrich von Wilamowitz, Werner Jaeger e Max Poehienz (in ispecie gli studi sullo stoicismo). Che ne facciamo? Li buttiamo a mare? Negando la teologia politica, il risultato è questo.
    Giuseppe Di Leo

     

     

    Al direttore - Era la primavera del 1968 e quel giorno avevamo occupato il liceo. Non era mai successo prima e noi ne eravamo un po’ spaventati. Ci avevano buttato fuori quasi subito e ora i poliziotti erano schierati davanti all’entrata mentre noi, in mezzo alla strada, non sapevamo bene che cosa avremmo dovuto fare. C’erano anche degli studenti della vicina università: ragazzi del movimento, di quattro o cinque anni più grandi, ma che noi consideravamo leader di grande esperienza. Uno di loro si mette a gridare “Servi! Servi!” contro la polizia. “Che cosa fai? Sei matto?! Così quelli ci caricano!”. “Appunto”, risponde lui con il tono paziente di chi spiega ai giovani come va il mondo, “così capite che la polizia è fascista e acquistate coscienza”. Una pedagogia rozza, ma efficace che nei mesi a venire avrebbe avuto larga diffusione. Qualche anno più tardi le Brigate Rosse operavano con una logica non molto diversa. Lo stato capitalista, anzi, lo stato imperialista delle multinazionali, difende il suo potere con ogni mezzo, ma dissimula la sua violenza mostrandosi apparentemente democratico. Gli attacchi contro i suoi esponenti, poliziotti, giudici, guardie carcerarie, servono a dimostrare che esso non è invulnerabile e al tempo stesso lo costringono a reagire e a gettare la maschera mostrando il suo volto spietato e repressivo. L’idea diffusa tra le formazioni maggiori e minori del terrorismo degli anni 70 e l’area, abbastanza estesa, che le fiancheggiava era che in Italia fosse in corso una guerra civile che andava, per così dire, esplicitata. Le avanguardie armate del proletariato, con le loro azioni contro “il cuore dello stato”, realizzavano questo obiettivo: rendevano manifesto alle masse quel conflitto sanguinoso che, restando latente, esse non avrebbero potuto combattere e vincere. In realtà non c’era alcuna guerra civile anche se una piccola minoranza, radicalizzata e capace di fare grandi danni, si comportava come se ci fosse. Proviamo a immaginare come sarebbero andate le cose se dall’altra parte, dalla parte dello stato, si fosse imboccata la stessa strada e si fosse affrontata l’offensiva terroristica come una guerra che andava fronteggiata con i mezzi adatti. Qualcuno proponeva di fare così, e non erano nemmeno pochissimi. Ma fortunatamente non furono quelle le posizioni prevalenti e il terrorismo degli anni 70 venne contrastato e vinto, salvo pochi episodi circoscritti, con i mezzi dello stato di diritto. Oggi, su una scala più grande, le cose si presentano più o meno nello stesso modo: ci sono gruppi, quantitativamente insignificanti ma in grado di fare gravi danni, i quali si affannano a dire che è in corso lo scontro finale fra la loro religione e tutte le altre e cercano di rendere attuale questo loro delirio con i mezzi micidiali che hanno. Se riuscissero a farci accettare la loro rappresentazione della realtà avrebbero ottenuto il loro migliore successo. Cordiali saluti.
    Marco Fossati

     

    Il Council on Foreign Relations ha calcolato che i musulmani della Medina che vogliono imporre la sharia, convertendo i miscredenti, sono circa il 3 per cento dei musulmani del mondo. Una percentuale molto bassa, certo, che se viene però applicata agli 1,6 miliardi di musulmani del mondo coincide con un numero impressionante: 48 milioni. Non sono 48 milioni di terroristi ma sono 48 milioni di persone che ogni giorno non rinnegano le tracce di violenza di vario genere presenti nel Corano. Il migliore successo, per gli integralisti, è il contrario di quello che dice lei: è ignorare, fischiettare, far finta di nulla, lasciando isolati quei milioni di musulmani che sognano di poter vivere in pace con la loro religione.