Il ventilatore dell'estremismo quando è acceso non è più controllabile
Al direttore - E’ almeno dal 1982 – anno dell’invasione del Libano – che l’imperativo del ricordo della Shoah si scontra con l’ignobile equivalenza tra lo sterminio nazista degli ebrei e la repressione israeliana dei palestinesi. Si tratta di una smaccata distorsione della verità storica che non sempre viene contrastata con decisione. Per altro verso, spesso non basta il richiamo alle prove e ai fatti per smantellare un pregiudizio, quello anti giudaico, che affonda le sue radici in una millenaria tradizione. Può così accadere che un senatore pentastellato getti nuovamente l’allarme sul disegno antico dei banchieri dal naso adunco di controllare il mondo, attingendo al vecchio paradigma vittimistico del falsificatori dei “Protocolli di Sion”. Se questo può essere considerato semplicemente un clamoroso caso di miseria politica e culturale, assai più inquietante è un fenomeno che rischia di prosperare anche a ovest di Allah, grazie anche al prepotente ritorno di presunte identità etniche e di arrembanti sovranismi. Mi riferisco a quel negazionismo secondo cui gli ebrei, le “false vittime” di ieri di un genocidio “inesistente”, sono i veri persecutori di oggi. Come è noto, per i suoi teorici lo stato d’Israele è un’impostura, l’abusivo destinatario di una solidarietà deviata. La sua nascita e la sua esistenza si avvalgono quindi di un’indebita patente di legittimità morale, sono soltanto il frutto della cattiva coscienza dell’occidente. In questo delirio della ragione l’olocausto diventa un “mito”, il sionismo l’avatar del complotto giudaico, il governo di Tel Aviv la sua intelligenza e il suo avamposto militare. Il pericolo di un revival dell’antisemitismo in Europa è assai serio, ma andrebbe denunciato e combattuto non solo il 27 gennaio di ogni anno. Del resto, il continente che ha visto sterminare “i più europei e meno nazionalisti dei suoi cittadini” (copyright di Amos Oz) non può pensare di riconciliarsi con il proprio passato e di progettare il proprio futuro come comunità di destino abbassando la guardia – come ha scritto Pierre Vidal-Naquet – contro gli “assassini della memoria”.
Michele Magno
Il guaio del sovranismo xenofobo è che una volta che si accende il ventilatore dell’estremismo il vento di fango che si viene a generare rischia di non essere più controllabile. E quando scegli di essere dalla parte dello spegnimento hai scelto di essere contro chiunque sia portatore di libertà.
Al direttore - Il Foglio è tra i pochi giornali che hanno trattato con obiettività l’argomento della nomina del presidente della Consob e l’impasse relativa. Ciò che a molti non è chiaro è che il potere di proposta spetta al presidente del Consiglio, come previsto dalla legge. Questi, in teoria, potrebbe informare il Consiglio della proposta che formula, ma è esclusa qualsiasi deliberazione al riguardo. Se Conte, da giurista qual è, non ha ancora avviato il procedimento di nomina formulando la proposta al capo dello stato, che ha il potere di accoglierla o di rigettarla sulla base di una sua insindacabile valutazione, vorrà dire che egli nutre forti perplessità: diversamente, sarebbe inspiegabile il temporeggiamento. Né è pensabile che il premier voglia raggruppare più ipotesi di nomine pubbliche per meglio suddividere la “torta”: ciò significherebbe che avrebbe appreso subito le prassi lottizzatorie della Prima Repubblica che dovrebbero, però, confliggere quanto meno con il suo stile di giurista. Allora, per porre fine al temporeggiamento, una via maestra esiste: proporre un personaggio che sia fuori dalla “mischia” e che si caratterizzi per competenza, esperienza, credibilità, diffusa stima, autonomia dai partiti e dai gruppi economici. Ne esistono di sicuro e Conte non ha che da decidere.
Angelo De Mattia