Lettere
L'archiviazione di un'accusa che ha fatto molto male
Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa
Al direttore - Ho ricevuto da pochi giorni la notizia dell’archiviazione del processo intentato dalla procura di Bergamo contro di me e un nutrito gruppo di amministratori, tecnici del sistema sanitario, scienziati. Potrei dire che giustizia è fatta, i magistrati hanno espresso il loro parere che, come auspicavamo, ha reso giustizia del lavoro fatto in quei terribili mesi e, ovviamente, non ha avuto da parte nostra alcuna colposa responsabilità criminale e omicida. Ora torno a essere un uomo pulito, senza l’onta di un sospetto devastante: aver contribuito a dare la morte a 57 persone e non aver fatto ciò che era necessario fare per salvarne 4.148. Per un medico che ha speso la vita gestendo grandi, devastanti emergenze in giro per il mondo, rischiando molte volte la propria di vita per soccorrere gli altri, quello della procura di Bergamo è stato un atto di accusa davvero infamante. Dopo Norimberga forse solo il tribunale dell’Aia ha trattato casi di questa rilevanza; a mia memoria quello contro Milosevic per i fatti di Srebrenica e quello sul genocidio in Ruanda. Qualche considerazione mi è quindi d’obbligo sulla procura di Bergamo e sul consulente di quella procura, il sig. Crisanti. La procura di Bergamo (che tra l’altro si è scoperto essere funzionalmente incompetente come accertato dalla procura generale di Brescia) ha lavorato per tre anni, impiegato enormi risorse umane, tecniche per produrre un atto di accusa che si è dimostrato non solo giuridicamente insostenibile, ma decisamente impreciso e ricco di macroscopici errori. Anche dal punto di vista finanziario sarebbe interessante sapere quale è stato il costo di questa inchiesta ivi compreso il costo dell’eventuale compenso percepito dal consulente Crisanti. Se il Codice penale prevede il nesso di causalità per sostenere l’imputazione di omicidio, ho ragione di credere che un buon magistrato si dovrebbe preoccupare di trovare il necessario “nesso”. Se il reato di epidemia è un reato esclusivamente “commissivo”, o si individuano le prove oppure è doveroso sapere che quel reato non potrà essere sostenibile. A meno di giustificare il tutto con l’aberrante affermazione che considera questo processo necessario “per pagare un tributo ai tanti morti della pandemia” come davvero singolarmente riferito da qualcuno. E’ difficile, caro direttore, leggere un capo d’imputazione predisposto da un pool di cinque magistrati e da un numero imprecisato di collaboratori in tre anni di lavoro, dove tra le morti contestate compaiono quelle di persone che a oggi sono vive e vegete, dove alcuni sono morti prima del periodo incriminato, dove altri sono morti per cause non note e nemmeno riconducibili al Covid (pag. 32 della sentenza di archiviazione); e dove per ultimo sono citate riunioni del Comitato tecnico-scientifico mai avvenute. Sul sig. Crisanti posso solo dire che è raro vedere uno scienziato esprimersi con argomenti così superficiali, scorretti, oserei dire cinici. Uno che nella vita professionale si è sempre occupato di zanzare e che diventa improvvisamente epidemiologo, virologo, infettivologo, emergenziologo e in questa veste di tuttologo si propone ai media; lo stesso che poi è reclutato dalla procura per fare una consulenza e scrive una montagna di affermazioni che mi limito a definire farisaiche e che, grazie a questa fantasiosa narrazione, costruisce il personaggio che alla fine lo porterà a coprire, a mio parere senza merito, uno scranno del nostro Senato della Repubblica. Il sig. Crisanti, nella sua qualità di consulente tecnico di parte, nonostante nelle varie interviste rese si sia autoproclamato perito, ha avuto accesso a fascicoli riservati, ha letto testimonianze e ha partecipato a interrogatori, per poi scrivere 83 pagine di ricette degne del “Mago Merlino”, depositate alla procura di Bergamo il 21 aprile 2021. Per quasi due anni, il sig. Crisanti ha utilizzato il contenuto di quello sproloquio in televisione, sui giornali, alla radio; ha costruito una narrazione che ha avuto come scopo quello di trovare discepoli al teorema costruito solo col senno di poi dalla sua fantastica sfera di cristallo. E tutte queste comparsate mediatiche sono avvenute con il beneplacito della procura che mai si è preoccupata di sottolineare, in quel disinibito comportamento, un possibile vizio di forma o, comunque, un gravissimo problema di opportunità. Io, coordinatore del Cts, in quelle frenetiche settimane che ci hanno travolto non ho mai avuto il piacere di sentire da questo signore ipotesi e suggerimenti utili a risolvere le disperate richieste che ci pervenivano dal territorio, nei momenti nei quali mancavano le bombole di ossigeno, non si trovavano sul mercato mondiale le mascherine, non c’erano i respiratori, i farmaci. Quando non c’erano posti letto, tamponi, reagenti, strumentazione utile all’emergenza e le persone morivano in perfetta solitudine in una Rsa, a casa, in una barella dell’ambulanza che non poteva nemmeno entrare in ospedale. Questo signore che oggi pontifica di improbabili cifre e descrive le possibili soluzioni per controllare la pandemia “se ci fosse stato lui a dirigere”, sembra paracadutato da un mondo perfetto che racconta di un sistema sanitario (che evidentemente esiste solo nella sua fantasia) che a gennaio 2020 aveva perfettamente compreso il rischio della pandemia cinese. Cosa ha fatto questo signore per far sì che l’ospedale in cui lui lavorava, la sua azienda sanitaria, il comune o la sua regione arrivassero preparati a una emergenza unica nella storia dell’umanità, con adeguate scorte di Dpi, un numero compatibile di terapie intensive, farmaci utili al trattamento di una patologia sconosciuta in quel perfetto sistema sanitario pubblico di cui disponeva l’Italia nel 2020 dopo i drastici tagli alla sanità degli ultimi decenni! Io della regione Veneto ricordo solo un ottimo presidente, Luca Zaia, che si prodigava h24 per inventare risposte compatibili in quei drammatici momenti, e tanti bravi colleghi che hanno continuato in silenzio la loro attività nei reparti di ospedale. Sig. Crisanti vuole un consiglio non richiesto, ma da me fortemente caldeggiato? Rimetta al presidente La Russa il mandato di senatore conquistato tradendo la fiducia dei suoi elettori e illudendo centinaia di parenti delle vittime nella ricerca d’improbabili capri espiatori alla tragedia avvenuta. Torni a occuparsi di zanzare, sig. Crisanti, l’unica cosa che forse sa fare con qualche margine di successo, e magari torni a fare il suo mestiere all’Imperial College, il suo vecchio incarico all’ospedale sarà così finalmente destinato a un collega di questo nostro disastrato sistema sanitario.
Agostino Miozzo, già coordinatore del Comitato tecnico-scientifico
Ricordo ancora, caro Miozzo, quando a seguito dell’inchiesta della procura di Bergamo, il presidente dell’ordine dei giornalisti (Carlo Bartoli), la segretaria generale Fnsi (Alessandra Costante) e il presidente Fnsi (Vittorio Di Trapani) non trovarono nulla di meglio che scrivere quanto segue: “A fronte di una indagine sul Covid che coinvolge autorevoli esponenti della politica italiana, la Procura di Bergamo ha emesso uno scarno comunicato in cui non vi è alcuna informazione sostanziale per descrivere fatti di grande interesse pubblico”. In sostanza, all’epoca, i vertici associativi dei sindacati dei giornalisti, piuttosto che rendersi conto di quante inchieste come quella di Bergamo fossero nate anche per rispondere alle istanze denunciate dal tribunale del popolo, scelsero di fare altro. Scelsero di denunciare l’eccessivo garantismo comunicativo messo in campo in quelle ore dai magistrati. Si rende conto? Quanto al resto, caro Miozzo, il problema è sempre lo stesso: quando la giustizia si occupa del dolore, e non dei reati, cercare gli applausi, per un magistrato, diventa infinitamente più importante che ricercare le prove. Auguri per il futuro.