Tempo di seconda mano
"Sognavamo una rivoluzione e l’unico timore era di non vivere abbastanza per vederla”, racconta un laureato in filosofia che al tempo dell’Unione sovietica faceva il fuochista in una centrale termica. Allora sfruttava i due giorni di libertà che venivano dopo ogni turno di ventiquattro ore per tuffarsi nei libri e nei dibattiti non conformisti, ma poi “la scoperta dei soldi è stata come l’esplosione di una bomba atomica”. “Sono nato in Urss e ci stavo bene”, dice con forza il “figlio di un comunista”, che gli aveva “insegnato l’abbiccì sulla Pravda. A ogni festa andavano insieme alle sfilate”. “Erano anni bellissimi e ingenui”, ricorda una filologa finita in un’agenzia immobiliare. Dopo aver prestato fede a Gorbaciov adesso ci penserà due volte prima di credere a qualcuno, ma è “contenta di essere vissuta in quest’epoca”. Una donna spiega di come ha “incontrato l’amore” durante le manifestazioni contro i putschisti del 1991. E che sarebbe successo se i putschisti avessero vinto? Interviste volanti per strada. “Saremmo rimasti il grande paese che eravamo”. “Avrebbero inondato di sangue il paese”. “Ma hanno vinto! Stiamo edificando il capitalismo sotto la guida del Kgb”. “La mia vita non sarebbe cambiata”. Altra gente litiga durante un Primo maggio. “Seppellitelo il vostro Lenin, e senza troppi onori”. “Lacchè dell’America! A quanto l’avete venduto il paese?”. “Siete proprio dei fessi, compagni”. “A me l’impero piaceva”, confessa uno che beve perché non è contento di come vive. Gli ex quadri della nomenclatura raccontano con rabbia del modo in cui si sono trovati emarginati e aggrediti da una marea di voltagabbana. Le antiche vittime dei tempi staliniani e dei gulag e i loro figli e nipoti raccontano di atrocità quasi indicibili, e del modo in cui “i carnefici hanno concluso i loro giorni da rispettabili pensionati”. Ma accanto alle atrocità del comunismo ci sono quelle degli odi etnici che sono esplosi al momento della sua dissoluzione, e le storie di violenza e miseria della transizione al capitalismo. Picaresco il racconto di chi riuscì a sopravvivere ai lager. Picaresco il racconto di chi ha dovuto inventarsi un nuovo lavoro dopo la caduta dell’Urss. “Qui da noi non c’è stato nessun comunismo, ma lo stalinismo. E adesso non c’è il socialismo né il capitalismo”, riconosce un ex segretario locale del partito. Eppure, in molti Stalin lo rimpiangono. Commoventi le pagine dedicate al maresciallo Achromeev, che dopo il fallimento del putsch si impiccò per non sopravvivere all’Unione sovietica. Ma fu vero suicidio? “Di fatto, nessuno di noi viveva in Urss, ognuno viveva nella sua cerchia”, osserva una intellettuale già non conformista. “Ancora oggi mi piacciono molto i film sovietici, hanno un qualcosa che non si trova nei film attuali”, confessa il figlio di una vittima delle purghe che andò a manifestare per Eltsin. E così via, decine e decine di voci. “Per me non è tanto importante che tu scriva quello che ti ho raccontato, ma che andando via ti volti a guardare la mia casetta, e non una ma due volte”, dice una contadina bielorussa. Come in una colossale Spoon River della Russia sovietica, uomini e donne, protagonisti e comparse, vittime e carnefici, raccontano attraverso le proprie vicende l’immenso dramma del crollo della Grande Utopia comunista. “Ci stiamo congedando dall’epoca sovietica. Che è come dire: dalla nostra stessa vita”, spiega Svetlana Aleksievic, che le ha raccolte. Bielorussa di padre ucraino, grande cronista dei grandi eventi dell’ultima fase dell’Urss e dell’èra post sovietica, esule dal regime di Lukashenko che però è infine tornata a vivere a Minsk, candidata al Nobel per la Letteratura nel 2014. “Mi sforzo di ascoltare con onestà coloro che hanno partecipato al dramma socialista”.
Svetlana Aleksievic
Tempo di seconda mano
Bompiani, 777 pp., 24 euro