Il meraviglioso viaggio di Octavio

Redazione
Miguel Bonnefoy
66thand2nd, 104 pp., 16 euro

Il finale irrazionale spiazza il lettore che fino a quel punto, per cento e più pagine, s’era immedesimato nello sciagurato Don Octavio, il gigante buono (e assai silenzioso) che nell’antro della sua fatiscente casupola arroccata sulla collina di San Paolo del Limone si tagliava il palmo della mano per non confessare all’acida farmacista il suo analfabetismo. Il fatto è che il “meraviglioso viaggio” attorno al quale è costruito il romanzo è sì uno spaccato di vita quotidiana tra le bidonville fatte di fango e lamiere ondulate, ma è pervaso anche da evidenti tratti onirici che lo caratterizzano dall’incipit all’epilogo. Tutto ha inizio nel 1908, quando una nave proveniente da Trinidad gettò l’àncora nel porto della Guaira, portando il flagello della peste. Quarantene, caccia ai ratti, lazzaretti improvvisati. Unica speranza, affidarsi al Cielo. E così, “tra salmi e canzoni”, l’antica effigie del Nazareno di San Paolo fu portata in processione tra speranzose ali di folla. Il corteo si bloccò davanti alla casa di un vecchio creolo, che aveva piantato lì un robusto limone. Infastidito dalla presenza di cotanta gente, imbracciò il fucile e fece fuoco, colpendo il volto della statua e facendo cadere centinaia di limoni. Ecco il miracolo: il popolo usò quella strana polpa come medicamento e la peste se ne andò.   La catapecchia del creolo fu abbattuta e  su quel che ne rimaneva fu edificata una chiesa. E’ questo il contesto sociale in cui vive Octavio. La via all’emancipazione la troverà un po’ per caso, sempre davanti alla farmacista che si rifiuta di leggere le ricette scritte male. La signora Venezuela, attrice di Maracaibo, insonne e ipocondriaca – “al mattino bevo un bell’infuso di piantaggine, dopo pranzo uno sciroppo di agave. A volte, prima di sera, mi sciacquo gli occhi con un po’ di acqua di rose o con della linfa di dracena, e se i dolori mi impediscono di riposare mi strofino le tempie con olio di vinaccioli” –  capisce subito la situazione e si offre di leggere per lui. Ne nascerà un rapporto sempre più intimo, che culminerà nel bacio che lui le impresse sulla bocca la prima volta che per un caffè entrò nella casa di lei. E Venezuela, che con gli uomini non era mai andata troppo d’accordo, “sentì subito il desiderio di naufragare con lui”.

 

Non durerà, ma quell’incontro segnerà il misero destino di Octavio, che dall’acculturata attrice attenta a dormire a pancia in su, “perché dormire a pancia in giù fa venire il diabete”, imparerà a dare un senso alle lettere messe l’una dopo l’altra su carta. Il pellegrinaggio (o vagabondaggio, verrebbe da dire) del protagonista ha inizio quando è costretto a lasciare la sua bidonville e l’occupazione che gli dava da mangiare – badare senza fare domande alla refurtiva di una congrega di ladri guidata dal carismatico Rutilio Alberto Guerra detto “Guerra”, un leader che disprezzava la democrazia, vestiva sempre di bianco e dormiva sull’altare della vecchia chiesa mai perdendo di vista il tabernacolo ridotto a portachiavi. Da quel momento, datosi alla macchia, per sopravvivere farà di tutto, dal rubare nelle tombe con un bambino poi misteriosamente scomparso nel profondo della foresta, al guadare impetuosi torrenti portandosi sulle spalle viandanti d’ogni stazza e peso. Farà incontri curiosi, a cominciare dall’uomo “alto e magro” con “indosso una veste da gesuita” che abitava quasi da eremita in una umida capanna lungo il corso d’acqua senza luce elettrica. Un perfetto romanzo picaresco dove l’origine meticcia di Miguel Bonnefoy (ventinovenne di talento, non a caso finalista del Prix Goncourt e dal sicuro avvenire), risalta con tutt’evidenza. Mescola con maestria la descrizione della squallida realtà moderna dello slum con la tradizione mitica e ancestrale dell’America latina e tropicale. L’amalgama è riuscito.

 

IL MERAVIGLIOSO MONDO DI OCTAVIO
Miguel Bonnefoy
66thand2nd, 104 pp., 16 euro

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