I giorni del Terrore
Fazi, 506 pp, 19,50 euro
A Place de la Révolution una donna accecata dalla paura si mostra ai francesi. Sotto di lei, la folla esulta: “E’ meglio che andare a teatro”. Qui il sangue è reale. Poco dopo, la testa di Maria Antonietta, l’ultima regina di Francia, viene esposta su una picca come un trofeo. Al suo consorte Luigi XVI era capitata la stessa sorte pochi mesi prima. Non si regna restando incolpevoli. A Parigi è cominciato il Terrore, Voltaire è stato dimenticato. Era proprio la catarsi che chiedeva il popolo? Certamente no, conclude Hilary Mantel nell’ultima parte della trilogia dedicata alla Rivoluzione francese. A distanza di molti anni e dopo aver vinto per due volte il Man Booker Prize raccontando un’altra storia (quella di Anna Bolena e dei Tudor) la scrittrice inglese è ancora convinta che niente sia stato più sorprendente di quanto accadde in Francia. Eppure, visti da vicino quegli anni sono poco meno di un disastro. A Parigi nel 1793 è difficile rimanere vivi. Liberté égalité fraternité a parte, a Parigi si muore di fame, come al solito. Camille Desmoulins proprio non riesce a capire come sia possibile, lui non è mai stato così ricco. Da un po’ di tempo chiunque voglia fare la rivoluzione deve farla principalmente contro di lui. E Georges Jacques Danton? Danton dorme nei letti a baldacchino e non si fa nessuno scrupolo a sedersi sullo scranno del re. “Sono sempre stata convinta che il tuo cuore non battesse per la rivoluzione” gli dice sua moglie Gabrielle, e ha ragione. Maximilien Robespierre è ancora contrario alla pena di morte. “Ma tu lo sai quello che vuoi?”, gli domandano e lui risponde senza tradire alcuna emozione che no, non lo sa. Ne hanno fatta di strada i tre ragazzi di provincia dopo la presa della Bastiglia. Se potessero scegliere, però, sarebbero da un’altra parte. Sono ormai stempiati, sovrappeso, nessuno di loro dorme sonni tranquilli. Come potrebbero? La Repubblica ha poco più di sei mesi e sta già crollando a pezzi. Marat è morto e non è il solo; il nemico è alle porte di Parigi. Abbiamo sbagliato a rinunciare al re, dopotutto la monarchia era l’unica cosa che conoscevamo. Era davvero peggio di così? E’ questo che mormora il popolo nelle strade di Parigi. Bisognerebbe pregare Dio, ma anche la fede è proibita. I templi sono fatti di cartone, stanno per crollare pure quelli.
E’ cominciato il declino. Danton lo sa bene. Gli capita spesso di guardare le teste che cadono in piazza. “Imparo a morire”. Dopo la ghigliottina, s’intrufola in qualche festa: è sempre stato un gaudente e un uomo dai desideri semplici: un po’ di soldi e molte cortigiane. Tra la guerra e le donne sa che cosa scegliere. Il tempo lo si trova, lo si trova eccome. Il Terrore attraversato dalle parti del potere può essere addirittura meglio degli ori e degli stucchi della reggia di Versailles. Lucile, la moglie di Desmoulins, a volte ha la sensazione che la rivoluzione non ci sia mai stata per davvero. Robespierre, la candela di Arras, “aveva illuminato un altro mondo”. Al fronte, un giovane Bonaparte ha già vinto qualche battaglia. Sta precipitando tutto, loro sono ormai sfiniti. Robespierre è un brutto imperatore. La storia di quegli anni non potrebbe finire peggio di così. Adesso sul patibolo con la testa sulla lama della rivoluzione c’è la rivoluzione stessa: Desmoulins e Danton, gli eroi della Bastiglia. Sembrano passati secoli. Qualcuno li aveva avvertiti: “La Rivoluzione è come Saturno: divora i propri figli”. Allora però non c’era il tempo di pensarci, si stava facendo la storia. Adesso invece si muore e basta. I parigini stanno a guardare, anelano il pane e il sangue. “Mostra la mia testa al popolo – dice Danton al boia Sanson – ne vale la pena”. In città non c’è spettacolo più bello della morte. E la morte Hilary Mantel la racconta meglio di tutti.
I GIORNI DEL TERRORE
Hilary Mantel
Fazi, 506 pp, 19,50 euro