Fronteggiare la crisi

Redazione
R. Sassatelli, M. Santoro, G. Semi
Il Mulino, 338 pp., 28 euro

    Possiamo dire che l’annuncio della fine del ceto medio, risucchiato dal basso, è alquanto prematuro”, scrivono i sociologi autori di questo saggio. I quali hanno scelto di inquadrare la loro accurata raccolta di dati qualitativi, etnografici e di interviste in due quartieri in forte mutamento di Milano e Bologna, all’interno di una cornice di dati macro più ampi, come quelli studiati nel 2014 da Tito Boeri, nel frattempo diventato presidente dell’Inps, che un anno fa sosteneva come non ci fosse stata “una polarizzazione dei redditi, con uno schiacciamento di chi sta nel mezzo. Nel calo generalizzato dei redditi, la quota di reddito nazionale del 60 per cento di persone che hanno redditi superiori a quelli del 20 per cento più povero e inferiori a quello del 20 per cento più ricco della popolazione, è rimasta praticamente invariata dal 1985 a oggi”. Pur senza decretare la fine del ceto medio, la ricerca però è lungi dal restituire un’immagine statica dello stesso. Il punto d’osservazione scelto è quello del consumo, cioè del modo di acquisire e usare le merci, oltre che la loro “rappresentazione mediante i gusti e gli stili di vita narrati”. Il consumo infatti “si trova investito di un importante lavoro di marcatura: quello di contribuire a ridisegnare le mappe del possibile, oltre che del giusto e del normale, per coloro che vogliono continuare a riconoscersi in una posizione mediana”. Da queste considerazioni prende le mosse un lungo approfondimento del rapporto con la casa e il vicinato, con l’alimentazione, con la cultura e la scuola, nei due quartieri di Isola a Milano e della Bolognina a Bologna. Dalle interviste svolte, di cui sono riportati gli estratti più salienti senza per questo rendere più difficoltosa la lettura, emerge per esempio che “al di là dell’effetto che gli acquisti di prodotti alimentari di filiera alternativa (etico, biologico, km 0) possono avere sull’economia locale, la sostenibilità e così via, è soprattutto il portato esperenziale a risultare attraente per quelle frazioni del ceto medio che in tali acquisti si impegnano”. Più in generale, secondo gli autori, “un tratto emotivo tipico” delle classi medie contemporanee è quello dell’“ansia”, “in una situazione di declassificazione culturale” e a fronte delle “contraddizioni che si generano nella delicata gestione di risorse diverse (tempo, denaro, cultura) spesso in contraddizione tra loro”; ansia che soprattutto in Italia è affiancata da una sempre più percepita “fragilità delle traiettorie di mobilità ascendente”.

     

    La prolungata crisi economica gioca la sua parte, specialmente perché “la dimensione del ‘futuro’, come proiezione attraverso i figli della mobilità associata allo stare nel mezzo delle gerarchie sociali pesa particolarmente sulle classi medie, perché per loro il consumo finalizzato alla riproduzione sociale (per esempio, casa e scuola scelte in funzione dei figli) è per certi versi essenziale e soggetto a forti investimenti sia materiali che valoriali”. Il quadro complessivo che emerge da questa ricerca del Consiglio italiano per le scienze sociali, critico ma non catastrofista, è impreziosito da riferimenti teorici piuttosto variegati: da Adam Smith (che già nel Diciottesimo secolo poneva l’attenzione sul “consumo di decencies – beni che possono essere usati per una confortevolezza non ostentata e che incarnano un tipo di consumo che porta con sé ordine e razionalità mentre soddisfa la ricerca di piacere”, e “diventa così il marchio dell’identità sociale borghese”) a Pierre Bourdieu (che nel Ventesimo secolo ha approfondito il rapporto delle classi medie con il mondo della cultura, la loro “buona volontà culturale” che si distingue dal “senso della distinzione” dei ceti superiori e dal “gusto del necessario” delle classi popolari).


    FRONTEGGIARE LA CRISI
    R. Sassatelli, M. Santoro, G. Semi
    Il Mulino, 338 pp., 28 euro