Storie d'altre storie
Lindau, 96 pp., 14 euro
Che fine ha fatto Cappuccetto Rosso? E Lolita, Tarzan, Alice e Casanova? Moby Dick – il romanzo, non la balena – è diventato un telefilm in lavorazione, Achab la seconda identità dell’attore che lo interpreta, succube di whisky e medicine, e che trova bella, sì, la scenografia con cui hanno ricostruito il Pequod, ma vuole assolutamente “vedere, vivere, toccare, strofinarsi con Moby Dick” prima delle riprese. E invece il regista gliela nega, perché deve restare fino all’ultimo un segreto. L’attore-capitano non la prende bene. Frankenstein torna a casa da mamma Mary dopo l’ultima missione in Russia: lavora per il servizio segreto inglese, adesso, è un killer itinerante. Pinocchio bambino rimpiange di non essere più di legno: non gli farebbero più paura i pugni dei compagni maneschi, sarebbe imbattibile nel giocare a pallone. Richiama allora in aiuto la Fata Turchina, “ma com’era ridotta la poveretta! Tutto in brandelli il velo, storta e polverosa la bacchetta magica come un ramo secco, bianchi i capelli e un sorriso che è meglio non descriverlo, fatto qual era sui denti finti”. Anche i sortilegi non riescono più come quelli di una volta: la Fata accoglie di malavoglia la richiesta di Pinocchio, ma lo trasforma prima in uno sgabello a tre gambe e poi in una cassapanca, per farlo tornare infine al punto di partenza: bambino in carne e ossa.
E’ in quel momento che Pinocchio, spazientito, si appropria della bacchetta magica. Sono tre delle “Storie d’altre storie” di Giovanni Arpino (raccolte qui per la prima volta dopo la loro pubblicazione su Stampa Sera nei primi anni Settanta). Una seconda vita dei loro personaggi, spesso più triste della prima: Lolita, grassa, invecchiata lontana dal suo Humbert, indossa ancora i calzini bianchi e vorrebbe affogare tra gelati e lecca-lecca; Casanova non ha quasi più soldi, non può vendere gli abiti, un po’ fuori moda, non vuole privarsi del baule di un certo valore, perché è l’unico strumento che fa colpo sui padroni d’albergo. Ah, l’ironia della sorte, e dello scrittore in seconda. Che mantiene sempre una bella consonanza d’affetto con i personaggi e di stile con la fiaba e il romanzo da cui parte. Così che l’italiano più musicale e più bello di queste storie è quello manzoniano del “Diario di Rodrigo”. Ma la mimesi con la fiaba non è da meno. A proposito: Cappuccetto Rosso ormai è una signora, ha sposato la guardia forestale che le ha salvato la vita a scapito di quella del lupo. Del lupo è rimasta la pelle, un vecchio tappeto pieno di tarme in salotto. La signora Cappuccetto ne vorrebbe uno nuovo. Il marito, per accontentarla, va nel bosco in cerca di un lupo fresco.
STORIE D'ALTRE STORIE
Giovanni Arpino
Lindau, 96 pp., 14 euro
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