La banca del Papa

Redazione
Francesco Peloso
Marsilio, 220 pp., 16 euro

Denaro e sesso: è a partire da questi due protagonisti imbattibili della storia umana, che anche la chiesa di Papa Francesco è dovuta ripartire per rifondare se stessa”. Da questa efficace considerazione, l’autore parte per raccontare la storia, torbida e non ancora del tutto privata di quell’alone di mistero per molti affascinante (e per altri penoso), della via crucis attraversata da Benedetto XVI nella fase terminale del suo pontificato. Al centro di tutto, ancora una volta come più di trent’anni fa, lo Ior, l’Istituto per le opere di religione, non a caso definita la “mitica o famigerata banca vaticana”, a seconda di come si guardi a essa. E’ la storia – condita da approfonditi retroscena, come testimonia l’ampio apparato di documenti e fonti consultate, segnale di precisione e accuratezza nella ricostruzione dei fatti narrati – della battaglia campale combattuta nei sacri palazzi per il controllo delle finanze, a cavallo dei due pontificati. Per comprendere quanto aspra sia stata la contesa, e quanto centrale sia stato lo Ior in tutta la faccenda, è sufficiente ricordare che l’istituto con sede nell’antico torrione di Niccolò V ha avuto tre diversi presidenti in tre anni, di cui uno nominato dal Papa dimissionario dopo che la carica era vacante da quasi un anno. Francesco Peloso ripercorre le tappe del processo di riforma, iniziato sotto Ratzinger e proseguito con maggior vigore dal successore Bergoglio. Vertici cambiati, “arrivo a Roma di manager, laici, banchieri, esperti di finanza europei e americani, accompagnati dalle grandi società di consulenza internazionale”. E poi, addirittura, un “rugbyer” e i “marines americani”. Una legione venuta da lontano per rompere (o tentare di rompere) l’assedio che durava da troppo tempo. Una globalizzazione delle strutture, verrebbe da dire, che s’accompagna a un’apertura del collegio cardinalizio a paesi che finora mai vi avevano fatto parte. E globalizzazione è parola che ritorna sovente nel libro, poiché è in questa dimensione storica che la chiesa si trova a operare, tra resistenze caratterizzate da una forza immane e speranze che (forse) sono destinate a tradursi in illusioni.

 

Di globalizzazione aveva già parlato Giovanni Paolo II all’indomani del crollo della cortina di ferro. Lui ne dava una lettura ottimistica, la definiva “globalizzazione della solidarietà”. Francesco, invece, il Pontefice nato e cresciuto nel particolare contesto latinoamericano caratterizzato dalle tante ville miseria che circondano le metropoli, preferisce semmai parlare di “globalizzazione dell’indifferenza”, come ricorda l’autore. Ma aprire al mondo le ovattate stanze vaticane è la strada giusta? E’ questa la chiave, il mezzo per farla finita con decenni di scandali coltivati spesso nel campo delle cordate tutte italiane? E’ una delle domande che il lettore si fa scorrendo le pagine del libro, chiedendosi anche quanto in profondità potrà arrivare la mano di Francesco nel rendere trasparenti quei luoghi che solo tre anni fa erano di fatto isolati dal mondo e ormai emarginati dalla comunità internazionale. Un paragrafo, non a caso, ha per titolo la domanda centrale cui nessuno, al momento, ha saputo trovare una risposta definitiva: “Sono riformabili le finanze della Chiesa?”. Vengono ripercorsi i giorni delle congregazioni generali antecedenti il Conclave, quando si formò nel collegio l’idea di guardare fuori dall’Italia e dall’Europa. Si va oltreoceano, e forse l’unica vera alternativa a Jorge Mario Bergoglio era rappresentata dal cappuccino statunitense Sean Patrick O’Malley. E’ in quella delicata fase che si sviluppa l’idea di creare un organismo ristretto (che poi sarà il C9) per delineare la riforma della governance vaticana, come avrebbe confermato più tardi il cardinale Errázuriz Ossa.

 

LA BANCA DEL PAPA
Francesco Peloso
Marsilio, 220 pp., 16 euro

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