La donna del martedì

Redazione
Claire Messud
Bollati Boringhieri, 136 pp., 14 euro

Come può essere sicura Maria Poniatowski  “anche solo di esistere, di respirare ancora, di avere ancora un senso,  di portare dentro si sé tutte le esperienze inconciliabili, il lungo filo di una esistenza che si dipanava indietro negli anni e nei continenti?”. Lo può essere recandosi come ogni martedì mattina da quarantasei anni  nell’appartamento di Mrs. Ellington per fare le pulizie. Davanti a una tazza di tè, consumata dopo aver sbrigato le faccende, insieme a sandwich, ai cetrioli sotto aceto e ai biscotti alla marmellata di fichi, le due vecchie signore si illuminano a vicenda aiutandosi a “proiettare la parvenza di un’ombra”. Mrs. Ellington, permanente grigia e scarpe robuste, ha novantadue anni, è quasi cieca ed era già vecchia nel 1947, quando Maria ha iniziato a lavorare per lei. “Aveva continuato a essere vecchia, più vecchia ma pressappoco la stessa” fino a quel martedì di agosto in cui Maria, entrando in casa,  trova una striscia di sangue che dalla parete dell’ingresso arriva fino alla camera da letto. E pensa che sia arrivata la fine. Ma Mrs. Ellington dorme, anzi russa, nel suo letto a baldacchino sopra  una fila di tre cuscini. Le luci si spengono quando scompaiono le persone o quando ti rendi conto che stanno per scomparire e per Maria l’incidente di Mrs. Ellington diventa un avvertimento. Adesso è pronta a raccontare la sua storia, una storia di resistenza. Durante la Seconda guerra mondiale, i tedeschi la portano via dall’Ucraina e dalla sua famiglia. Ma lei non piange, non ha tempo “per versare lacrime sterili sulle cose perdute”.  Maria deve sopravvivere. E lo fa con i suoi quindici anni, passando da un campo di lavoro all’altro,  usando come phard l’argilla rossa di un torrente e tingendosi gli occhi con i mozziconi dei fiammiferi, sognando insieme a un’amica una “faiblesse” per il dentista zoppo del campo, fino a una notte in cui fuggirà dalle bombe e dalle mura della fabbrica. In un campo profughi, zitella a vent’anni, Maria ha la sua storia d’amore: “Sognata, abbandonata, dimenticata, la colse di soppiatto, dapprima lenta ed esitante, poi come un fiume in piena”.

 

Lev, il suo polacco alto e biondo “era talmente magro da sembrare vuoto, ma quel vuoto nei loro abbracci,  diventò per lei un nido” e Maria lo sposò. Nasce Radek, “pallido, solenne e urlante” e decidono di trasferirsi  in Canada (“Canada e Stati Uniti – che differenze facevano quei nomi per lei”).
Inizia una nuova vita. E un’altra resistenza, senza guerre e senza bombe questa volta. Ma forse ancora più tremenda. Maria dovrà  fare i conti con la perdita del marito e con l’incomprensione del figlio, della nuora di origine tedesca e dei suoi nipoti troppo canadesi. Il senso di non appartenenza la farà sentire “come la bandiera sul retro della barca o come il rombo occasionale di un motore in lontananza: un fatto esiguo, infondato, un’inezia”. Senza sentimentalismi, Claire Messud, nata nel Connecticut e cresciuta  tra Stati Uniti, Australia e Canada, racconta in questo romanzo la storia di un esilio che non finisce neanche nella costruzione di una nuova vita. Ma il senso di solitudine e la desolazione (“Come sono arrivata qui? Cosa ci faccio qui?”) trovano conforto soltanto nello sguardo di Mrs. Ellington perché “non aveva importanza, o non molta, che l’anziana signora fosse quasi cieca; riusciva ancora a vedere Maria con chiarezza, come Maria voleva essere vista”. A colori. Il titolo originario del romanzo è “A Simple Tale”, una storia semplice ed è il primo libro di un dittico “The Hunters” che è stato finalista nel 2001 al Pen Faulkner Award, il secondo sarà pubblicato prossimamente anche in Italia.

 

LA DONNA DEL MARTEDI'
Claire Messud
Bollati Boringhieri, 136 pp., 14 euro

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